Società

FIAT, ESAME
DI COSCIENZA

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

Il contenuto di questo articolo esprime esclusivamente il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Dalla conclusione della vicenda legata al cosiddetto «convertendo», il prestito di 3 miliardi di euro erogato da un pool di dieci banche alla Fiat, si possono trarre alcune conclusioni. La prima, ovvia e scontata, sancisce il tramonto della famiglia Agnelli alla guida del gruppo torinese. Soltanto adesso, probabilmente, si potrà guardare con maggiore serenità di giudizio ai tempi andati, per rispondere all’eterna domanda: fu vera gloria?

La seconda riflessione non può non riguardare un’operazione che, per le banche, si è rivelata fallimentare. Per un motivo semplice: Fiat non ha avuto la forza di rialzarsi e camminare e, alla scadenza, il prestito non sarà onorato. Con l’aggravante che, senza le operazioni di copertura cui sono provvidenzialmente ricorsi alcuni banchieri, gli istituti sarebbero esposti a una voragine di circa 1,5 miliardi di euro di minusvalenze rispetto all’importo del finanziamento. Con ricadute da incubo nei bilanci.

Il terzo dato, drammatico, riguarda il futuro dell’azienda. Perché, se da un lato la famiglia Agnelli non intende impegnarsi ulteriormente, dall’altro le banche, che a settembre diventeranno il primo azionista di Fiat con il 27% del capitale, non hanno alcuna intenzione di prendere in mano le redini. Per un motivo semplice: non è il loro mestiere. Lo ripetono, fin dal 2002 (anno di sottoscrizione del prestito), amministratori delegati e dirigenti degli istituti di credito. E poi sarebbe comunque inimmaginabile ipotizzare che Fiat sia governata da un gruppo così eterogeneo.

Conseguenza logica: Fiat è sul mercato. Non da adesso, per carità. Lo era anche al tempo in cui General Motors cercava di sfuggire al cappio dell’opzione put per non ritrovarsi strangolata in un momento già fortemente critico per gli americani. Economy ha già raccontato dei tentativi in atto per assicurarsi un partner industriale forte, che possa realmente tentare se non il rilancio quantomeno il salvataggio del settore auto. In questo senso, fanno quasi tenerezza lo spot tv e la pubblicità sui quotidiani che, nell’era della globalizzazione, non mettono più al centro il prodotto ma il sentimento di italianità che dovrebbe spingere all’acquisto di un’auto.

Anche questo, purtroppo, è figlio dei tempi. Quelli di una gloriosa casa automobilistica, che sembra aver abbandonato l’idea di farci sognare e desiderare una vettura per lo stile e l’affidabilità, puntando piuttosto su un’improbabile adesione di pensiero. Di un’azienda che oramai ricorre alle corde del cuore rispetto a quelle della ragione. Mai, invece, come in questo momento il management Fiat dovrebbe riportare al centro la ragione. E la consapevolezza che solo con il coraggio di tornare alle radici, sfidando alla pari i competitor e cercando sul mercato la via d’uscita ai suoi problemi, potrà convincere gli italiani a non pronunciare più «no, grazie» davanti all’idea di acquistare un’auto Fiat.

Copyright © Economy per Wall Street Italia, Inc. Riproduzione vietata. All rights reserved