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E’ UNA VERA MATTONATA

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(WSI) –
Catasto su base patrimoniale, incremento delle tasse sulle compravendite, imposta sulle successioni, un mercato ormai stabile (in alcune città in calo), tassi di interesse in crescita.
Il mix è esplosivo.

La lunga serie di novità fiscali per gli immobili, infatti, peseranno con modalità diverse sulle tasche degli italiani e su quelle degli investitori esteri, ma graveranno nello stesso identico modo sul mercato.
Finora si è parlato di un «forte rallentamento»: dopo oltre otto anni di corsa vorticosa, oggi è forse il caso di dire che la festa è finita.

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La prospettiva di un Catasto su base patrimoniale spaventa, per quanto il Disegno di legge 1762 parli di una manovra che garantirà una «sostanziale invarianza di gettito». Così come il fantasma di un’Ici più cara (dal gennaio 2007 i Comuni hanno la possibilità di elevare l’aliquota fiscale fino all’8 per mille) e la tassazione più pesante sui guadagni derivanti dalla vendita di appartamenti entro cinque anni dall’acquisto: dal 12,5% al 22%.

Questo insieme di provvedimenti si aggiungono alle già onerose imposte da versare quando si compra una casa (il 3% di registro più 336 euro di imposta ipocatastale se si tratta di una prima abitazione, oppure una tassa onnicomprensiva del 10%) e alle novità in materia di rogiti notarili.

Dal 2007, infatti, nell’atto di compravendita non solo sarà obbligatorio specificare le modalità di pagamento (assegni, bonifici, contanti) in modo analitico e indicando anche, se c’è, l’onorario dell’agente immobiliare (con la possibilità di detrarre il 19% di quanto versato con il limite massimo di 1.000 euro di imponibile).
In più, sarà necessario riportare non solo il valore catastale del bene, ma anche quello reale.

SANZIONI E LEGISLATURE

Il rischio per chi non si adeguerà è elevato: se il fisco dovesse accorgersi che un dato non è corretto, le imposte saranno applicate sul valore di vendita dell’immobile, con una sanzione pari alla metà della differenza tra quanto pagato e il nuovo calcolo delle imposte.
«Le scelte fiscali sono un fatto politico» spiega Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari, istituto indipendente di ricerche. «Siamo passati da una legislatura che aveva assunto un atteggiamento “leggero” sugli immobili a questa che invece pare estremamente punitiva. L’obiettivo sarebbe quello di arrivare a una fiscalità intelligente, che sappia fare la differenza tra investimenti produttivi e speculazione».

Il cerchio fiscale si chiude con la nuova legge sulle successioni, varata dal governo in ottobre, che prevede il pagamento di un’imposta ipotecaria e catastale fissa di 168 euro per gli immobili trasmessi in successione a un parente in linea diretta (se si tratta della prima casa del defunto e fino a un valore catastale di 250 mila euro, ovvero a un valore di mercato compreso tra 550 mila e 1 milione di euro), e di un’imposta variabile del 4% per gli immobili il cui valore catastale supera i 250 mila euro.
Inoltre è prevista anche un’imposta di registro la cui aliquota cambia al variare del grado di parentela: è pari a zero per il coniuge e per i parenti in linea retta, sale al 2% per i parenti fino al quarto grado e arriva al 4% per gli altri eredi.

Insomma, una bella differenza rispetto a quanto si è pagato fino a oggi (a partire dall’ottobre 2001) sulle case che entravano nella successione: il 3% del valore catastale senza alcuna franchigia o 168 euro se il beneficiario godeva dei requisiti per usufruire delle agevolazioni sulla prima casa.
«Si è rotto un patto tra compratori di case e fisco nel momento in cui si è deciso di agire pesantemente sulle tasse sulle compravendite» sostiene Breglia. «L’unico momento in cui il fisco è sicuro di controllare, ovvero al momento dell’atto d’acquisto, fa pagare il 10% tra imposta di registro e ipocatastale.

Ma la verità è che dovrebbero monitorare anche tutte le altre tasse che gravano sul settore».
Insomma, grazie a questa sventagliata di misure legislative, la percezione che il mattone non sia più il rifugio garantito per i risparmi aumenta. E se c’è un fattore che da sempre muove l’ago della bilancia del mercato immobiliare, è proprio quello psicologico: anche solo l’idea che l’acquisto di un bene possa essere oggetto di nuove imposte o non essere più un affare, allontana dall’investimento.

Non è un caso, infatti, che nell’ultimo rapporto presentato dall’ufficio studi di Nomisma si parli di un mercato «ancora sano», con un valore delle compravendite pari a 120 miliardi di euro (tra edifici e immobili non residenziali) e con prezzi medi in crescita del 2,6% su base semestrale e del 6,4% su base annuale (dato medio su 13 città italiane più grandi), però si avverte la percezione di una tendenza ribassista da parte degli operatori.
«Se si fa una panoramica completa della situazione, possiamo dire che l’orizzonte si sta minacciosamente annuvolando» sostiene Gualtiero Tamburini, presidente di Assoimmobiliare.

RENDIMENTI INFERIORI A QUELLI DEL 1999

Un dato è certo: il rendimento derivante dagli affitti è in discesa, ormai ha raggiunto valori inferiori a quelli del 1999 e, in alcuni casi, anche a quelli del 1996.

Sono molti, infatti, gli investitori che, avendo acquistato case negli ultimi otto anni, oggi cominciano a pensare di vendere per incassare i benefici del loro investimento, magari prima che il guadagno realizzato venga tassato al 22%.
È anche per questo che i tempi di compravendita si allungano, mentre il mercato guarda con un po’ di paura all’offerta di abitazioni nuove che si riverseranno sul mercato nei prossimi anni e che contribuiranno ulteriormente ad abbassare i prezzi.

Tanto più che indebitarsi per comprare casa non è più così a buon mercato: fino a un anno fa, con i tassi fermi al 2% era possibile sottoscrivere un mutuo al 3,5%; oggi, dopo un anno e mezzo di politica restrittiva da parte della Banca centrale europea, i tassi sono saliti al 3,25% e il tasso variabile ha quasi raggiunto il fisso intorno a quota 5%, senza alcuna certezza che la risalita dei saggi sia finita qui.

Non stupisce, quindi, che già questo 2006 possa considerarsi anno «di svolta»: il numero di compravendite di abitazioni non raggiungerà il record di 833.350 unità del 2005, ma si fermerà intorno alle 800 mila. E il fenomeno è già più evidente nelle grandi città che in periferia.

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