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Cartoni, Peppa Pig: perché ha successo?

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ROMA (WSI) – Domenica pomeriggio ho fatto un corso di aggiornamento professionale: ho aperto youtube e ho guardato 40 minuti di Peppa Pig.
Io, che non posseggo un televisore e non sono mamma di nessun bambino tra gli 0 e i 6 anni, non avevo infatti mai avuto l’occasione di incappare in un’intera puntata della famiglia Pig.

Mi sono seduta sul divano e ho visto la puntata delle frittelle, quella del camion dei pompieri, poi l’episodio sulla pulizia della macchina, quello del campeggio e, infine, quella della lezione di danza classica.

Mi aspettavo molto, e invece ho visto il susseguirsi di una trama ripetitiva e davvero poco interessante.
Poco interessante, sia chiaro, non vuole dire diseducativo né noioso.
Semplicemente, ho visto Peppa Pig, e mi è sembrato di non aver visto nulla: dovessi fare un riassunto delle storie, basterebbero davvero poche righe.

Come ha fatto, allora, questa maialina dalla vita davvero poco significativa a diventare il cartone animato più brandizzato del momento?
Perché tutto questo successo per Peppa Pig, un personaggio nato per un target prescolare, ma amato indistintamente da adulti e bambini, forse più di quanto sia mai successo per altri cartoni animati arrivati prima di lei?
Che la chiave del successo non risieda proprio in questa sua clamorosa banalità quotidiana, così uguale a noi, così rassicurante?

Se non fosse per gli animali antropomorfi, infatti, le storie di Peppa Pig sarebbero la rappresentazione pedissequa della realtà di tutti i giorni.
Nessun principe, drago, orco, strega, fata, folletto, ma macchine da lavare, frittelle, campeggi: una specie di grande fratello, una telecamera sugli impegni quotidiani che ogni famiglia deve affrontare, senza colpi di scena, senza immaginazione. In questa specie di realtà aumentata e infiocchettata per treenni, però, un elemento si discosta dalla verità di tutti i giorni: l’allegria.

Nelle storie di Peppa Pig sono infatti tutti felici, anzi felicissimi, anzi straordinariamente felici:
Laviamo i vetri? Siiiiiiii!!!!
Andiamo a danza? Siiiii!
Papà dà fuoco al barbecue? Ahahah
Un mondo, quindi, dove non c’è bisogno di fantasia e di immaginazione perché la realtà, da sola, basta a riempire la giornata di gioia e tripudio.

Ben diverso era il mondo rappresentato ai bambini più piccoli, fino a pochi anni fa. C’era il mondo della Pimpa, sostanzialmente animista, in cui tutti gli oggetti e gli elementi della natura parlavano, si relazionavano e costruivano una realismo magico insieme alla cagnolina a pois.
Un mondo in cui la protagonista poteva girare da sola, mischiando il reale e l’immaginario, per poi tornare a casa da Armando – figura genitoriale e razionale, tranquillizzante come un vero papà che accoglie a braccia aperte i voli pindarici della mente della figlia.

Oppure c’era il mondo di Richard Scarry, quello di Zigo Zago e Gorilla Banana: una città affollata e altamente improbabile. Un mondo amatissimo soprattutto dai bambini maschi perché pieno di camion dei pompieri, ruspe e automobili ma strutturalmente surreale e ironico, nonostante fosse pensato a scopi squisitamente didattici.

O, più recentemente, la Melevisione: un programma fin troppo melenso per i miei gusti, ma in cui il fantabosco rappresentava senza dubbi la magica immaginazione dei bambini più piccoli, e la loro possibilità di perdersi nei sentieri della fantasia.

Perché, dopo la visione di Peppa, mi sembra invece che di tutto questo mondo immaginario e fantastico non si trovi traccia, nelle storie della famiglia Pig?

Perché nella città senza nome che li ospita è tutto visibile e a portata di mano: tutto si svolge nelle poche centinaia di metri che separano la casa dalla scuola, i negozi dalla palestra o, al massimo, a distanza di pochi chilometri di macchina.

Nessuna nuvola che parla, nessuna avventura da affrontare travestiti da cavalieri, nessun fungo a dirti Mangiami Mangiami, nessun coniglio bianco da seguire nel buco dell’immaginazione. Ma neppure una lotta del male contro il bene, alla Mazinga, magari violenta, eppure così visceralmente simbolica.
Mi è sembrato, vedendolo, un mondo completamente razionale, e in mano ai genitori (esistono episodi in cui Peppa Pig vive una storia, anche immaginaria, in assenza di adulti? Io non ne ho trovati), in cui tutto è visibile, e perfettamente sotto controllo.

Un mondo dove non ho trovato spazio per gli opposti (male/bene, cattivo/buono, noioso/divertente, rabbia /allegria) e in cui piangono solo i più piccoli.

Nessun genitore triste – alla Peter Pan – nessuna matrigna cattiva, nessuna strada di sassolini a indicare il proprio cammino di crescita.
Ho guardato Peppa Pig e ho visto un mondo in cui non c’è niente da conquistare, nulla da cambiare e assolutamente nulla da desiderare.
Una realtà immaginaria, ma perfettamente uguale ad un qualsiasi lunedì pomeriggio di novembre, a Pavia, come a Huston, come a Monaco di Baviera.

Il mondo dei bambini è diverso da così.
I bambini si arrabbiano e piangono, odiano e amano, sono perfidi e allo stesso tempo adorabili, fanno i capricci e fanno saltare i nervi.
D’altra parte, sono capaci di stupirci parlando con i tavoli, desiderano ardentemente che arrivi il topino dei denti e chiacchierano con il sole chiedendogli, per favore, di non rovinare il loro pomeriggio al mare.
Possono passare ore seduti su un tappeto, persi nel loro mondo immaginario, o decidere di venire a svegliarci la domenica mattina raccontandoci un sogno o, più probabilmente, quello che avrebbero desiderato sognare.

Il loro mondo di bambini è clamorosamente più divertente di quello, soffocato dalle routine, di noi adulti.
Peppa Pig inverte questa verità, dicendo ai bambini che la realtà degli adulti, e con gli adulti, è la cosa più desiderabile del mondo.
Perché parlare alle nuvole, quando si può lavare la macchina?
Non è divertente?
Siiiiiiii!!
Ahahahah.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Wired – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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