Società

C’ ERA UNA VOLTA
LA FINANZA ROSSA

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(WSI) – Un tempo la chiamavano la «finanza rossa». Quel tempo è ormai solo un ricordo. Ora che le grandi partite del risiko bancario hanno messo sotto i riflettori Monte dei Paschi di Siena e Unipol, bisogna aggiornare rapidamente l’iconografia sulle due aziende. Sia la banca toscana, sia l’assicurazione bolognese rimangono il punto di riferimento del mondo cooperativo di sinistra e sono fortemente radicate nei territori che hanno partorito quel modello (basta vedere l’osmosi tra esponenti politici locali e manager); così come rimane fortissimo il legame tra le due società, alleate su molti fronti e capaci di muoversi in piena sintonia. Ma – ed è un “ma” enorme – l’influenza dei vertici nazionali dei democratici di sinistra è ai minimi storici.

Basta fare un rapido giro tra i massimi esponenti romani del partito per ricevere un fuoco di fila di no comment e reiterate dichiarazioni di autonomia gestionale. A prima vista è tendenza positiva, la certificazione che anche a sinistra si predica e si pratica la divisione tra politica ed economia, ma in realtà la libertà di Mps e Unipol è sostanziale, ma non definita in maniera netta. Cosicché i Ds sostengono il peso politico, e le critiche degli alleati (specie dalla Margherita), per le scelte dei loro “finanzieri rossi” senza poter minimamente intervenire, più per reale impotenza che per volontà di correttezza.

E di scelte che lasciano perplessi ce ne sono molte: da quelle del presidente di Unipol Giovanni Consorte legato ai “padani” come Emilio Gnutti o al banchiere Gianpiero Fiorani per tentare l’assalto alla banca Antonveneta, fino alle faide più o meno sotterranee in corso nei dintorni di piazza del Campo, che si incrociano con Francesco Gaetano Caltagirone il quale nel cda della banca senese spinge per far coincidere le sue mire di controllo sulla Banca Nazionale del Lavoro con la strategia industriale di Mps. E nemmeno il fatto che le due società siano quotate in borsa è d’aiuto.

La possibile vigilanza del mercato è azzoppata da una composizione del capitale molto anomala. Unipol è controllata da una finanziaria, Finsoe, dove sono presenti Monte dei Paschi di Siena (39%), Hopa di Emilio Gnutti (5%), Jp Morgan (2%) e la compagnia assicurativa belga P&V (3%), ma l’azionista di riferimento di Finsoe è un’altra finanziaria, Holmo, controllata all’80% dalle cooperative, ma nel cui azionariato sono presenti anche controllate della stessa Unipol, creando un sistema “circolare” di dubbia trasparenza.

Uno schema che si ripropone più volte e alla fine nella girandola di partecipazioni incrociate appare evidente che tutto il potere si concentra in poche mani e crea di continuo conflitti d’interesse, come la recente decisione di Mps (azionista di Hopa e partecipato dalla stessa) prestare 100 milioni di euro alla finanziaria bresciana per l’operazione Olimpia-Telecom. A Siena la situazione è particolarmente imbarazzante con la Fondazione, azionista con il 48% dei diritti di voto, ormai unico caso tra le grandi banche.

Chi controlla la Fondazione? La “deputazione generale”, il suo organo direttivo, è composto da sedici membri: otto designati dal comune, 5 dalla provincia, uno a testa da regione Toscana, dall’Università di Siena, uno dall’Arcidiocesi. Per non scontentare nessuno, anche la locale Camera di commercio e la Consulta provinciale del Volontariato (!) hanno voce in capitolo. Questo board un po’ sui generis rispetto agli standard internazionali, ha di fatto la parola definitiva sulle grandi questioni come strategiche. Così chi vuole portare Siena, e il suo fido alleato Unipol, di nuovo al gran ballo del risiko bancario deve far breccia nella Fondazione e quindi nei Ds che guidano gli enti locali.

Se da Roma gli esponenti politici nazionali si tirano fuori richiamandosi all’autonomia decisionale degli enti locali, i due soci privati, Gnutti e Caltagirone, si stanno muovendo sul territorio e hanno capito che alla fine a contare sono pochi uomini-chiave e corteggiano, pare con successo, amici vecchi e nuovi: il presidente della banca Pier Luigi Fabrizi, e il suo vicepresidente Stefano Bellaveglia (rappresentante di Mps in Hopa, un’altra delle tante partecipazioni incrociate) e il presidente di Unipol, Consorte. Un primo successo l’hanno riportato nel cda informale del 27 gennaio e hanno prospettato i lati positivi di un ritorno su Bnl: tra il patto Bbva-Generali-Della Valle che controlla il 28,6% ed il contropatto guidato da Caltagirone, Mps con il suo 4,75% (legato ad un 3,5% in mano alla Popolare di Vicenza) potrebbe essere l’ago della bilancia. A favore del contropatto naturalmente e pur senza arrivare alla fusione si aprirebbe la strada ad una forte collaborazione industriale.

L’idea piace a un buon numero di consiglieri (8-9 su 16) e dalle varie ricostruzioni si evince che al fronte dei privati (Gnutti, Caltagirone, Massimo Caputi) anche alcuni rappresentanti della Fondazione, a cominciare da Fabrizi che è anche presente nel cda di Bnl. Ma da qui la storia assume i contorni della telenovela di provincia perché pare che Fabrizi sia in rotta con il presidente della fondazione Giuseppe Mussari a sua volta alleato del sindaco di Siena, Maurizio Cenni. Cenni e Mussari sembrano profilarsi come i fautori di una linea difensiva, che considera la pratica Bnl chiusa e diffida delle proposte dei privati a scapito degli interessi locali. Una linea che è in qualche modo preesistente persino all’apertura del capitale ai soci privati e che per esempio ha portato all’abolizione della figura dell’amministratore delegato.

Se battaglia ci sarà, chi ne uscirà vincitore sarà ben visibile grazie alla scadenze: nel 2005 il rinnovo della presidenza della Fondazione, dove Mussari punta ad una riconferma, poi ad aprile 2006 sarà la volta di elezioni comunali e provinciali. Scadenze politiche che si sovrapporranno con la partita bancaria dove Unipol sembra muoversi in avanscoperta su tutti tavoli: è al fianco di Fiorani (e Gnutti) nella cordata che tratta per il controllo di Antoveneta e gli è stata attribuita (e non ha mai smentito) un interesse per la quota di Bnl in mano a Generali. Più di un osservatore lamenta come le manovre intorno a Bnl in realtà “giocano” con i limiti della legge Draghi e del testo bancario, sfruttando inerzia degli organi di vigilanza (Consob e Banca d’Italia). E in questa cortina di profondo rosso, nessuno può veramente intervenire.

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