Società

BERLUSCONI, SI PUO’ FARE UN CENTRO SENZA DI LUI?

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) –
La battaglia del governo per sopravvivere è bollente come il sol d’agosto e suggerisce, persino durante la lotta per ottenere la fiducia sulla «manovrina», di far riunioni per prepararsi al settembre della Finanziaria, quando Prodi rischia di dover gettar la spugna se le condizioni per l’approvazione delle sue leggi non saranno migliorate. Finora la politica economica del centrosinistra è consistita soprattutto nel decreto in materia fiscale e di liberalizzazioni e nel Documento di Programmazione Economica e Finanziaria.

Hai mai provato ad abbonarti a INSIDER? Scopri i privilegi delle informazioni riservate, clicca sul
link INSIDER

Il Bersani-Visco ha meriti apprezzati anche fuori del perimetro politico del governo. Ma gravi sbavature sulla fiscalità immobiliare, pur corrette per tempo, ne hanno minacciato la credibilità. Il governo, come succede nelle imprese private, dovrebbe punire in qualche modo chi è più direttamente responsabile di simili pasticci. Ci sono stati anche i passi indietro coi tassisti: che mi hanno colpito non tanto per la sostanza, quanto per la disponibilità di Bersani a trattare mentre era in corso una protesta illegale della categoria. Il decreto è stato comunque un fatto largamente positivo e l’ostruzionismo dell’opposizione un gioco politico cinico e triste. La maggioranza dei cittadini si augura che le liberalizzazioni e le misure contro l’elusione e l’evasione fiscali continuino.

Il Dpef non è, come qualcuno sostiene, un orpello utile solo ad anticipare le ansie (oltre al saldo!) della Finanziaria. Se fatto bene è un documento prezioso di politica pluriennale. Quello di quest’anno contiene alcune scelte precise. Soprattutto due: la conferma di voler prendere i provvedimenti necessari al rientro del deficit eccessivo con la prossima Finanziaria, continuando poi a contrarre il disavanzo nelle successive Finanziarie della legislatura; e la decisione di ridurre la spesa pubblica senza far finta di poterne risparmiare le voci più importanti: sanità, pensioni, pubblico impiego e finanza locale.

Spalmare su due anni le misure per correggere il disavanzo eccessivo non è accettabile dall’Ue ed esporrebbe i mercati all’incertezza di provvedimenti da decidere in situazioni politiche future del tutto imprevedibili. La legislazione di bilancio italiana ha un respiro annuale: se vogliamo legarci le mani per non indebitarci fino all’insopportabile dobbiamo farlo con riferimento al prossimo esercizio. Altra questione è se alcuni dei provvedimenti strutturali da approvare quest’autunno avranno effetti un poco ritardati e il deficit scenderà sotto il 3% del Pil un po’ dopo il 2007: solo allora sarà il caso di «trattare» con la Commissione e il Consiglio nel quadro della flessibilità del nuovo Patto di Stabilità. Ma dovremo aver già sparato i colpi che uccidono il deficit eccessivo e aver in canna quelli per l’ulteriore convergenza verso l’equilibrio strutturale della finanza pubblica.

La necessità, riconosciuta con chiarezza dal Dpef, di incidere sulle categorie più delicate della spesa pubblica, è la ragione per cui il governo ha rinviato la precisazione delle specifiche misure di aggiustamento, che vuole concertare consultando le parti sociali. E’ una procedura logica e trasparente. Il Dpef ha però il grave limite di essere privo anche di un semplice elenco di ipotesi di lavoro, decentemente quantificate, circa le proposte di misure con cui si pensa di avviare le consultazioni.

Le quali, più o meno ufficiali, hanno già preso avvio. Speriamo diano presto segni di concretezza. Per fare una buona Finanziaria un atteggiamento delle parti sociali rivolto esclusivamente all’interesse collettivo è indispensabile. Come è essenziale che i provvedimenti siano chiari e spiegabili in modo convincente a tutti i cittadini, anche a quelli che poco si sentono rappresentati dai tavoli concertanti. Dopodiché occorre l’approvazione parlamentare. E comincia il problema della maggioranza litigiosa e scarsa.

Non ho alcuna idea utile ad alleviarlo. Occorrono certamente «convergenze» più che lotte muscolari. E le convergenze possono prefigurare, prima o dopo la Finanziaria, transizioni politiche lunghe e complesse. Qualcuno vorrà inserire in queste transizioni l’idea di «centro». Basta che precisi bene di che cosa si tratta. Mario Monti lo definì come il luogo ipotetico degli amici di una moderna economia di mercato. Ma, per fare un esempio, Mastella è un politico che più di centro non si può: eppure il suo atteggiamento nei confronti delle corporazioni dei professionisti non è parso propriamente einaudiano. E Berlusconi? Si può fare un centro senza di lui? Eppure credo che al momento manchino prove certe di una sua sincera amicizia per la moderna economia di mercato. Quanto a Tremonti… sarà felice del fallimento del Wto che ha più volte definito una cosa da pazzi. L’episodio delle liberalizzazioni ha dimostrato, se ce n’era bisogno, che il centro alla Monti non si ottiene col semplice taglio delle ali.

Copyright © La Stampa per Wall Street Italia, Inc. Riproduzione vietata. All rights reserved