Società

BERLUSCA:
LA TV NON CONTA

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(WSI) – Ma se in Italia la tv non avesse quell’influenza cruciale sui destini politici ed elettorali che tutti le riconoscono? La domanda, già apparentemente stravagante in un Paese in cui il premier è anche un magnate della televisione, può sembrare addirittura paradossale quando la spettacolare irruzione di Berlusconi nell’arena televisiva di «Ballarò» segna una svolta nella strategia politico-mediatica del centrodestra ferito a morte nelle ultime elezioni. E anche impropria, quando i leader del centrosinistra, da Prodi a Veltroni, indicano nella nomina bipartisan di un inedito consiglio d’amministrazione della Rai l’obiettivo simbolico della nuova stagione politica scaturita dall’ultimo responso delle urne.

Ma è una domanda che da almeno un ventennio dispone di una base cospicua e coerente di esempi che militano a suo favore e che oggi forse non si perderebbe tempo a prendere in considerazione, per evitare illusioni, ma anche scontri feroci e crociate apocalittiche nel nome dello spoils system.

E allora, conta davvero così tanto la tv nelle elezioni italiane oppure è il caso di dire che non c’è storicamente nessuna coincidenza meccanica e necessaria tra il controllo della tv pubblica e i comportamenti politici ed elettorali dei cittadini italiani?

Il primo esempio risale alla seconda metà degli anni Ottanta, quando la conquista da parte del Pci di una rete Rai e di un telegiornale non seppe impedire l’inesorabile declino elettorale di quel partito. Prosegue, a cavallo tra la fine degli Ottanta e i primi anni del Novanta, con il controllo ferreo da parte del «Caf» sulla televisione pubblica, che non riuscì ad arginare il rovinoso crollo dei partiti centrali della Prima Repubblica (penalizzati dalle urne prima ancora che dalle decisive inchieste giudiziarie) e nemmeno a frenare la tumultuosa ascesa della Lega di Bossi, totalmente assente, non solo dagli assetti manageriali, ma addirittura dagli schermi della tv di Stato (fenomeno che si replicherà sette anni dopo, quando la straordinaria performance di Emma Bonino ebbe a compiersi nel vuoto assoluto di presenze nei programmi di informazione politica).

Gli anni della crisi della Prima Repubblica azzerarono il profilo della «lottizzazione» proporzionalistica della Rai e introdussero nei suoi assetti la logica spietata del bipolarismo ma non smentirono, anzi accentuarono, la divaricazione tra controllo dei gangli della tv di Stato e risultati elettorali effettivamente conseguiti. Tra il ’93 e il ’94, con la Rai dei «professori», i tg e i talk show politici, forse fiutando i venti della stagione «nuovista», vennero affidati quasi esclusivamente a esponenti della sinistra. Eterogenesi dei fini: vinse, avventurosamente ma vinse, Berlusconi. Ma quando il centrodestra andò al potere, anche quello della Rai cambiò subito segno e colore.

Eppure alle elezioni del ’96 vinse Prodi, e perse lo schieramento che in quel momento deteneva le leve della televisione di Stato. Coincidenze, forse. Eppure lo scenario viene replicato con impressionante ripetitività negli anni successivi. L’Ulivo trionfante impose nuovi equilibri nella Rai, ad esso ovviamente favorevoli. E quanto più ulivizzava la Rai tanto più subiva scacchi elettorali (dalle elezioni europee del 1999 fino alle regionali del 2000) per arrivare al tonfo elettorale delle consultazioni del 2001, che videro trionfare Berlusconi. Il quale Berlusconi, assieme ai partiti del centrodestra, non risparmiò blindature alla Rai governata nel nuovo quadro politico.

Ma da quando esercita il suo controllo sul servizio pubblico, il centrodestra ha fatto in tempo a perdere ben tre tornate elettorali, fino al tracollo rovinoso dei giorni scorsi, quarto e sinora ultimo passaggio elettorale in cui i comportamenti politici degli italiani non sembrano assecondare le geometrie imposte a Viale Mazzini. Non esiste, in questo breve excursus sui destini paralleli delle vicende televisive e dei risultati elettorali, un solo esempio che contrasti la sensazione che gli italiani, magari voteranno per le più bizzarre motivazioni, ma non certo sulla base dei desiderata di chi di volta in volta detiene le leve del potere della televisione pubblica. E allora: davvero la tv conta così tanto sulla politica italiana?

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