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ASSET ALLOCATION: CHE FARE?

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*Michele Pezzinga e’ lo strategist di CentroSim. I suoi commenti non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

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(WSI) –
Nuova caduta per le Borse, da Wall Street (in calo dell’1,7% con
l’S&P 500 e del 2% con il Nasdaq Composite venerdì scorso) a Tokyo, dove
il Nikkei stanotte è addirittura precipitato di quasi il 4%, sui timori
per l’export verso gli USA, in rallentamento, e la Cina, di recente
attraversata da un forte sentimento anti-giapponese; stavolta anche i
listini europei si stanno adeguando ai mutati umori, perdendo la loro
miracolosa capacità di tenuta.

Questa discesa è comunque differente da
quella registratasi a fine gennaio: allora i mercati, bond e azioni,
finirono sotto pressione a causa dei timori per un più deciso riavvio
dell’inflazione; adesso, al contrario, in testa alle preoccupazioni degli
investitori ci sono i timori di frenata dell’economia e degli utili.

Gli
effetti, in termini di asset allocation, sono quindi del tutto differenti:
se allora l’idea di consenso (non la nostra, però..) era di sottopesare
l’obbligazionario e i comparti di Borsa più difensivi, per privilegiare i
settori più ciclici e meno esposti al rischio inflazione, oggi si sta di
nuovo puntando ad arroccarsi su liquidità, bond e settori difensivi. A
cambiare la percezione dello scenario sono stati il progressivo
deterioramento negli USA sia del quadro macro, che punta ora ad una
crescita intorno al 3% in questo 2° trimestre dell’anno (nulla di
drammatico, comunque), sia di quello per gli utili aziendali, in
particolare nel settore high tech, il più colpito dal calo degli ultimi
giorni (non a caso -8,3% i titoli IBM e -7,1% quelli Sun Microsystems
venerdì scorso).

Per quanto riguarda l’economia, i primi dati relativi al
mese di aprile confermano l’ipotesi di un rallentamento già in atto: la
fiducia dei consumatori, rilevata dall’Università del Michigan, è caduta a
quota 88.7, da 92.6 in marzo, livello più basso dallo scorso settembre,
mentre l’indice Empire, relativo all’andamento dell’attività
manifatturiera nello Stato di New York, è sceso ai minimi degli ultimi due
anni, con una lettura a quota 3.1, contro 20.1 in marzo ed un’attesa a
quota 19. Quanto ai dati di marzo, la produzione industriale è sì salita
come previsto(+0,3%), ma solo grazie al contributo determinante delle
utilities (+3,6%); senza di esse il comparto manifatturiero avrebbe
registrato un calo dello 0,1%, a causa dell’impatto determinante del
comparto auto (-3,6%).

Si è di nuovo quasi dimezzata anche la crescita
dell’high tech (+0,9%, dopo il +3,4% di gennaio ed il +1,7% di febbraio),
pur mantenendo ritmi da +20% su base annua. Il solo segnale positivo, più
per il dollaro che per la crescita, è giunto dalle statistiche sugli
afflussi di capitale, rimaste robuste a quota 84,5 mld di dollari anche in
febbraio, a fronte dei 92,5 mld toccati in gennaio e di un disavanzo della
bilancia commerciale su livelli inferiori, 61 mld circa. Gli acquisti da
parte di privati di bond americani sono balzati ai massimi degli ultimi
due anni, a quota 31,2 mld di dollari, cui vanno aggiunti altri 11,3 mld
da parte delle Banche Centrali estere. Anche i timori di inflazione,
riflessi dal balzo dell’1,8% per i prezzi all’import, andrebbero
ridimensionati: senza la voce greggio, l’aumento sarebbe stato dello 0,3%,
pari al +2,9% su base annua; per i beni di consumo ex auto saremmo a quota
-0,4%, dunque l’effetto Cina continua ad aiutare i consumatori americani.

Non c’è quindi da sorprendersi se i bond, tra venerdì ed oggi, abbiano
registrato quasi ovunque rialzi di oltre 60 punti base sulle scadenze
decennali: quelli tedeschi rendono ora il 3,44%, a un passo dai loro
minimi storici a quota 3,40%, mentre quelli USA sono tornati ad offrire un
4,20%, in deciso ridimensionamento rispetto ai picchi del 4,80% toccati
nel corso della recente correzione.

Fino a pochi giorni fa si accusavano
di “palese irrazionalità” i loro possessori, incuranti dei rischi che
correvano con i tassi e l’inflazione in rialzo, mentre in realtà da parte
loro non si scontavano altro che scenari di rallentamento, tali da
esaurire quanto prima la stretta della FED, bloccare sul nascere quella
della BCE e penalizzare alla fine proprio le attività invece più sensibili
alla crescita, quelle Borse che venivano date come l’asset vincente del
2005.

Come sempre in questi casi si passa però da un eccesso all’altro:
ora infatti, almeno su mercati poco selettivi come il nostro, si assiste a
vendite indiscriminate di qualsiasi titolo azionario, incluse quelle
utilities che, se permarranno queste ipotesi di rallentamento
congiunturale e bassi rischi di inflazione, finiranno presto per essere
percepite come le migliori opportunità in alternativa all’obbligazionario.

Se a breve sono da mettere quindi in conto ancora fuoriuscite
dall’azionario, già tra qualche giorno, con un po’ più di serenità, si
potrà ragionare meglio sulle virtù delle varie Enel, Terna o Snam Rete Gas
del caso, più qualche tlc e realtà varie dalla caratteristiche difensive,
che poco sembrano poter essere influenzate da prospettive congiunturali
più deboli e che molto hanno invece da beneficiare da scenari più
rassicuranti sui tassi e la direzione dei rendimenti a lunga.

Viste anche
le concomitanti difficoltà dei bond high yield, innescate dal caso
eclatante della General Motors, portare a casa rendimenti superiori al 4%
sta tornando ad essere un’impresa; è quindi molto probabile che l’effetto
liquidità torni presto a farsi sentire sulle Borse, rilanciando le fortune
dei comparti azionari più difensivi. Quanto ad un rimbalzo nell’immediato,
c’è solo da sperare nella possibile tenuta dell’S&P 500 sul significativo
supporto nell’area 1.142, toccato in chiusura proprio venerdì scorso: una
rottura aprirebbe spazio ad ulteriori ribassi a livello più globale.

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