New York – Il presidente yemenita, Ali Abdullah Saleh, e’ rimasto ferito nel bombardamento della moschea interna al palazzo presidenziale, in cui stava pregando. Nell’attacco, secondo fonti della sicurezza, sono morte quattro guardie del corpo e sono stati feriti il presidente del parlamento, il primo ministro e il suo vice.
C’e’ stato anche un giallo sulla sorte di Saleh, che la tv di opposizione Suhail aveva dato per morto nel bombardamento. Il viceministro dell’Informazione, Abdu al-Janadi, ha smentito e ha annche preannunciato un intervento del presidente davanti alla stampa.
Il bombardamento e’ stato la risposta dei miliziani della tribu’ dissidente degli Hashid al precedente attacco contro il palazzo dello sceicco Sadiq al-Ahmar, raso al suolo dai militari fedeli a Saleh. In Yemen piu’ di 370 persone sono morte, di cui 155 solo negli ultimi 10 giorni, dall’inizio della rivolta popolare a meta’ gennaio contro Saleh, da 33 anni alla guida del Paese.
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Nella capitale dello Yemen, Sanaa, sono ripresi con particolare violenza gli scontri tra esercito e forze dell’opposizione. Il tutto dopo l’attacco della casa del principale leader dell’opposizione, Sadeq Al-Ahmar. Anche se la crisi politica si sta aggravando, il paese e’ sull’orlo di un crack economico cosi’ pesante che potrebbero volerci anni per riprendersi e per ricostruire una base sociale cosi’ frammentata.
A Sanaa il quartier generale della Yemeni Airlines è stato incendiato, mentre nella piazza principale occupata dai manifestanti i cecchini hanno ripreso a sparare. Soltanto negli ultimi dieci giorni sono morte almeno 135 persone.
I combattimenti degli ultimi giorni nella capitale hanno messo in fuga dalla citta’ migliaia di residenti. Piu’ di 60 persone sono rimaste uccise in tre giorni di scontri tra le forze del presidente Ali Abdullah Saleh e i miliziani della tribu’ dissidente degli Hashid, guidati dal potente sceicco Sadiq al-Ahmar.
“I cadaveri giacciono ancora a terra e le ambulanze non possono arrivare”, ha riferito un medico. Nelle ultime ore, e’ morta anche un a bimba di sette anni, colpita da un proiettile vagante. I combattimenti sono i piu’ violenti delle ultime settimane.
Secondo fonti dell’opposizione, migliaia di guerrieri si sono messe in marcia verso la capitale, per sostenere la causa degli insorti. I combattimenti, localizzati soprattutto nel distretto di Al-Hasaba, roccaforte degli Hashid a dieci chilometri dall’aeroporto, hanno costretto alla chiusura dello scalo e al dirottamento dei voli in arrivo verso Aden, anche se il capo dell’aeroporto, Naji Markab, ha smentito l’interruzione dei servizi.
Mentre la situazione sul terreno peggiora di ora in ora, tanto che sia la Russia che la Gran Bretagna hanno invitato i connazionali a lasciare subito il Paese (anche l’Italia aveva diramato giorni fa lo stesso allerta e secondo fonti diplomatiche sentite dal Guardian la situazione sarebbe “peggiore che in Libia”), la diplomazia continua a muoversi. Il capo-consigliere anti-terrorismo di Barack Obama, John Brennan, ha lasciato l’Arabia Saudita alla volta degli Emirati, dove continuera’ a discutere della crisi yemenita in cerca di una soluzione.
Quanto al governo di Sanaa, e’ apparso lanciare un messaggio distensivo, annunciando di essere pronto alla firma del piano di mediazione messo a punto dai Paesi del Golfo.
“La data per la firma verra’ fissata presto”, ha detto un ufficiale secondo l’agenzia Saba. Saleh, tuttavia, ha gia’ dato segnali di apertura diverse volte in passato, salvo poi boicottare all’ultimo momento qualsiasi accordo.
Secondo il racconto dei testimoni la situazione a Sanaa e’ quella di una citta’ in guerra. Migliaia di persone sono fuggite e i negozi sono chiusi mentre la gente rimasta si accoda in fila davanti ai benzinai. I residenti hanno raccontato che l’acqua scarseggia cosi’ come l’elettricita’. I miliziani tribali, secondo il sito del ministero della Difesa, avevano occupato nei giorni scorsi il quartier generale del partito di governo, il Congresso generale del Popolo, e alcuni pubblici edifici, come quello vicino al palazzo presidenziale.
Le forze lealiste, tuttavia, li avrebbero ricacciati indietro, almeno stando a quanto riferito sul sito. Anche a Taiz il clima si e’ di nuovo surriscaldato, con scontri tra manifestanti e la Guardia Repubblicana ma per ora non vi sono notizie di feriti.
Sanaa è spezzata in due, con le forze lealiste a nord e quelle dell’opposizione a sud della città. I due eserciti stanno lottando per il controllo dei principali edifici governativi, sperando in questo modo di assicurarsi il diritto al potere. Il presidente Saleh continua a rifiutarsi di dimettersi nonostante le proteste vadano avanti ormai da febbraio.
Un mese fa aveva rifiutato di firmare l’accordo proposto dal Consiglio per la cooperazione nel Golfo Persico, che prevedeva le sue immediate dimissioni in cambio dell’immunità legale. L’accordo sembrava cosa fatta una settimana prima ma poi era improvvisamente saltato.