I Paesi dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) hanno approvato ieri a Ginevra la richiesta di Unione europea, Stati Uniti e Canada di istituire un gruppo di esperti (panel) per esaminare la disputa sulle tariffe applicate dalla Cina sulle importazioni delle componenti per automobili. Dall’adesione del gigante asiatico alla Wto nel dicembre 2001, si tratta del primo panel contro la Cina. I tre esperti del panel dovranno stabilire se, come denunciano Usa, Ue e Canada, le misure applicate dalla Cina sulle importazioni di componenti d’auto violano le regole della Wto sugli scambi internazionali. Dalla loro nomina, i tre esperti del panel avranno circa sei mesi per pronunciarsi. Pechino – affermano Usa, Ue e Canada – impone tasse discriminanti poiché le componenti d’auto esportate in Cina sono colpite dagli stessi dazi doganali applicati a una vettura completa (25 per cento invece del 10 per cento) se contano per il 60 per cento del valore del veicolo. Per Ue, Usa e Canada, tali norme violano gli obblighi fissati dalla Wto ed in particolare gli impegni previsti dall’accordo sull’adesione della Cina che vietano di imporre contenuti locali. Questa politica – sottolineano – tende inoltre a spingere le imprese straniere a delocalizzare la produzione in Cina. Pechino ribatte che queste misure sono state decise per evitare che i produttori aggirino i dazi importando auto complete sottoforma di componenti. La disputa era approdata alla Wto nel marzo 2006. Dopo il fallimento delle consultazioni tra le parti ed il no di Pechino ad una prima richiesta di panel, lo scorso 28 settembre, l’odierna approvazione del gruppo di esperti da parte dell’apposito Organo della Wto per la soluzione delle dispute è stata automatica. La decisione di istituire il gruppo di esperti giunge a pochi giorni dall’appello ad “aprirsi di più” rivolto alla Cina dal commissario Ue al Commercio, Peter Mandelson. Secondo Mandelson, la Cina ha ormai raggiunto uno sviluppo tale che è legittimo chiederle un “sistema economico più aperto e l’eliminazione agli ostacoli commerciali”. Intanto il ministro per il Commercio internazionale, Emma Bonino, spiega che nel commercio internazionale, l’Italia “ha perso il treno cinese, ma ha consolidato la sua presenza in Turchia”. Ora le nuove frontiere verso cui dirigersi sono i Balcani e l’India. I primi di novembre, ricorda il ministro, l’Italia accoglierà la visita del ministro del commercio indiano, Kemal Natah, e di cento imprenditori indiani, a cui seguirà “la nostra grande missione nel paese, prevista in febbraio 2007. Fare in modo che il sistema produttivo italiano, smetta di piangersi addosso e capire che internazionalizzarsi è una necessità , perché il mercato interno non basterà ”, è l’obiettivo strategico della Bonino, che incalza: “Il made in Italy non lo dobbiamo promuovere tanto perché piace a tutti. Il problema è che ci siamo un po’ seduti. Vorrei un Paese che ha voglia di mordere il mondo”. Tra i progetti da realizzare Bonino pensa a “una grande catena di distribuzione, qualcosa come un Carrefour italiano”, dove acquistare i nostri prodotti, come pizza, caffè e anche mobili. Parlando invece di una riforma dell’Istituto del Commercio Estero, ritiene che “il Paese non abbia voglia di infilarsi in una legge di riforma che non si sa come va a finire. Abbiamo perso anche troppo tempo”. Ma piuttosto che farne un’agenzia, come proposto da Confindustria, il ministro auspica un cambiamento di ritmo e di marcia: “Tutte cose – spiega – che si possono fare con gli strumenti esistenti. In Cina e in India vorrebbero gustare caffè e comperare mobili italiani, ma trovano solo Starbucks e Ikea: dobbiamo perciò creare una catena, una rete di distribuzione internazionale all’altezza. Possiamo farcela, ma non è gratis”, ribadisce il ministro, parlando a Genova a un incontro con il ministro svizzero dell’Economia, Doris Leuthard. Sul commercio estero “dobbiamo imparare a non farci concorrenza tra regioni e tra imprese – aggiunge Bonino – ma lavorare insieme facendo sistema. Non ho poteri normativi in questo campo perché la riforma del Titolo V ha dato competenze concorrenti alle Regioni. Ci vorrebbe una modifica della norma”.