Società

WSI CERCA COLLABORATORI. NON SOVVENZIONATI DA DENARO PUBBLICO

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In America il Washington Post sta facendo un concorso per trovare l’American next pundit, cioe’ il nuovo editorialista d’America. Vorremmo fare la stessa cosa qui a Wall Street Italia. Se volete essere tra i nuovi opinionisti di WSI e collaborare con noi con articoli di economia, finanza, politica (ma anche hi-tech, telecom, societa’) scriveteci QUI. Vorremmo entrare in contatto con analisti finanziari e politici, economisti, responsabili di uffici studi di aziende, banche e sim, professori universitari, studiosi e ricercatori, esperti di marketing, comunicazioni, pubblicita’ e media.

Per trovare i nostri nuovi editorialisti, che si aggiungeranno alle firme note che gia’ pubblichiamo nella sezione Opinioni, facciamo una rapida premessa sull’autonomia di Wall Street Italia. Chissa’ perche’ sul nostro stesso blog si e’ sparsa la voce che WSI sia di proprieta’ di Rupert Murdoch o del gruppo editoriale Espresso-Repubblica. Niente di piu’ falso: siamo piccoli ma nessuno ci ha comprato, per cui restiamo indipendenti e auto-finanziati da un buon modello di business. Nel “Chi Siamo” di WSI si legge:

Tra i siti non facenti parte di grandi “gruppi media”, Wall Street Italia e’ il n.1 nel segmento business, economia, finanza, politica e news. WSI e’ il punto di riferimento per decine di migliaia di persone abituate a valutare l’economia, i mercati e la politica in un’ottica globale. WSI e’ indipendente anche dal punto di vista finanziario: fin dalla nascita non ha mai preso contributi o sovvenzioni pubbliche di alcun tipo.

Questo e’ il punto importante: in Italia quasi NESSUNO e’ indipendente, nel senso buono e non “qualunquistico” della parola. Il fenomeno dei blog sta esplodendo, e’ vero. E li’ di indipendenza per fortuna ce n’e’ in abbondanza. Solo che fin quando (come paese) saremo cosi’ arretrati da doverci confrontare con il 47% dei nostri concittadini che non usa mai internet, non c’e’ storia. Per la diffusione (e manipolazione) del pensiero comanda solo la TV. E in parte la radio.

Che quasi nessuno in Italia sia indipendente (giusto “Il Fatto Quotidiano” ne fa con orgoglio una questione di dna e WSI infatti e’ associata con loro da un patto editoriale di copyright) e’ confermato dal particolare che tutti i quotidiani italiani sono sovvenzionati, prezzolati, pagati e finanziati coi soldi pubblici, cioe’ di tutti noi cittadini. In modo scandaloso.

Senza sprecare parole inutili, fate prima voi ad analizzare le tabelle in pdf pubblicate a fondo pagina (fornite per legge dalla Presidenza del Consiglio). Fate il calcolo di quante decine di milioni di euro vengono sperperati ogni anno (si’: sperperati) per mantenere in vita testate (quotidiane e periodiche) che nessuno legge, quotidiani di partito che gridano vendetta come prodotti editoriali, tipo Il Campanile di Mastella, oppure quotidiani fintamente di partito (Il Foglio organo della “Convenzione per la giustizia”; Libero “organo del partito monarchico italiano”, morto decine di anni fa; il Giornale d’Italia, “Organo del movimento unitario pensionati uomini vivi”) senza contare un numero impressionante di rivistine cattoliche ignote anche agli stessi preti (extra 8 per mille, ovvio).

Infine, un calcolo a parte va fatto aggiungendo decine di milioni di euro “bruciati” ogni anno da noi cittadini per sovvenzionare i grandi giornaloni “borghesi” come il Corriere della Sera, La Repubblica, il Sole 24 Ore, che senza i soldi dei finanziamenti pubblici avrebbero gia’ dovuto chiudere i battenti (per il calo di copie vendute e il crollo del fatturato pubblicitario).

Citiamo dal libro di Beppe Lopez “La Casta dei giornali”: “La parte più cospicua delle provvidenze se ne va in contributi per: agevolazioni postali (228 milioni nel 2004), rimborsi per l’acquisto della carta (per fortuna aboliti nel 2005), agevolazioni telefoniche, elettriche, ecc. Contributi che premiano in particolare i grandi gruppi editoriali con molte testate, alte tirature e ampi organici. Così la Rcs è arrivata in un anno a prendere 23 milioni, la Mondadori 19 per le poste e 10 per la carta, Il Sole-24 Ore 19, la Repubblica-Espresso 16, l’Avvenire 10”. Adesso alcune di queste spese sono state tagliate, ci vorrebbe un’inchiesta approfondita, che sara’ presto fatta.

In ogni caso nel 2006 la lista delle testate che avevano incassato oltre 2 milioni di euro era la seguente:

6.817.000 €: “L’Unità”
5.990.000 €: “L’Avvenire”
5.371.000 €: “Libero”
5.061.000 €: “Italia Oggi”
4.441.000 €: “Il Manifesto”
4.028.000 €: “La Padania”
3.718.000 €: “Liberazione”
3.703.000 €: “L’amore vince”
3.511.000 €: “Il Foglio”
3.275.000 €: “Conquiste del Lavoro”
3.098.000 €: “Secolo d’Italia”
2.969.000 €: “Primorski Dnevnik”
2.892.000 €: “Corriere di Perugia”
2.582.000 €: “Sportsman-Cavalli Corse”
2.582.000 €: “Linea”
2.582.000 €: “La Discussione”
2.582.000 €: “Roma”
2.582.000 €: “Il Borghese”
2.582.000 €: “Il Giornale d’Italia”
2.582.000 €: “Giornale nuovo della Toscana”
2.582.000 €: “Corriere Canadese”
2.582.000 €: “L’Avanti!”
2.582.000 €: “Editoriale Oggi
2.582.000 €: “Il Cittadino”
2.582.000 €: “Corriere di Forlì”
2.582.000 €: “Il Corriere Mercantile”
2.582.000 €: “Linea Giornale del movimento sociale Fiamma Tricolore”
2.582.000 €: “Torino Cronaca”
2.582.000 €: “Nuovo Oggi (Molise)”
2.571.000 €: “Il Globo”
2.508.000 €: “America Oggi”
2.238.000 €: “Il Denaro”
2.179.000 €: “Il Riformista”
2.157.000 €: “Corriere del Giorno di Puglia e Lucania”
2.065.000 €: “Opinione della Libertà”
2.065.000 €: “Il Corriere di Firenze”
2.065.000 €: “Voce di Romagna”

Questa classifica (lunghissima perche’ nella parte piu’ bassa sotto i 2 milioni comprende fino alle testate sovvenzionate con 4000 euro) andrebbe rivista e aggiornata tenendo conto di tutte le categorie che hanno incassato i contributi piu’ recenti (nel 2008) secondo la suddivisione fornita dal sito della Presidenza del Consiglio, ricavabili cumulativamente dai link qui sotto:

CONTRIBUTI EROGATI NEL 2008 (ANNO DI RIFERIMENTO 2007)

1) CONTRIBUTI PER QUOTIDIANI EDITI DA COOPERATIVE DI GIORNALISTI (Art. 3 comma 2 Legge 250/1990)

2) CONTRIBUTI PER QUOTIDIANI EDITI DA IMPRESE EDITRICI LA CUI MAGGIORANZA DEL CAPITALE SIA DETENUTA DA COOPERATIVE, FONDAZIONI O ENTI MORALI (Art. 3 comma 2 bis Legge 250/1990)

3) CONTRIBUTI PER QUOTIDIANI ITALIANI EDITI E DIFFUSI ALL’ESTERO (Art. 3 comma 2 ter Legge 250/1990)

4) CONTRIBUTI PER PERIODICI EDITI DA COOPERATIVE DI GIORNALISTI (Art. 3 comma 2 quater Legge 250/1990)

5) CONTRIBUTI PER TESTATE ORGANI DI PARTITI E MOVIMENTI POLITICI CHE ABBIANO IL PROPRIO GRUPPO PARLAMENTARE IN UNA DELLE CAMERE O RAPPRESENTANZE NEL PARLAMENTO EUROPEO, O CHE SIANO ESPRESSIONE DI MINORANZE LINGUISTICHE RICONOSCIUTE, AVENDO ALMENO UN RAPPRESENTANTE IN UN RAMO DEL PARLAMENTO ITALIANO, OVVERO CHE, ESSENDO STATE IN POSSESSO DI TALI REQUISITI, ABBIANO PERCEPITO I CONTRIBUTI ALLA DATA DEL 31.12.2005. (Art. 3 comma 10 L n. 250/1990 e Art. 20, co. 3 ter del D.L. n. 223/2006 convertito dalla L n. 248/2006)

6) CONTRIBUTI ALLE IMPRESE EDITRICI DI PERIODICI CHE RISULTINO ESERCITATE DA COOPERATIVE, FONDAZIONI O ENTI MORALI OVVERO DA SOCIETA’ LA MAGGIORANZA DEL CAPITALE SOCIALE DELLE QUALI SIA DETENUTA DA COOPERATIVE, FONDAZIONI O ENTI MORALI, CHE NON ABBIANO SCOPO DI LUCRO (Art. 3 comma 3 Legge 250/1990)


7) CONTRIBUTI PER IMPRESE EDITRICI DI QUOTIDIANI O PERIODICI ORGANI DI MOVIMENTI POLITICI, TRASFORMATESI IN COOPERATIVA ENTRO E NON OLTRE IL 1° DICEMBRE 2001 (Art.153 Legge 388/2000)

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I contributi statali ai giornali

di Ezio Venturini (apparso su LeccoProvincia.it)

Nella metropolitana di Milano, la mattina, incontriamo rarissime persone che hanno in mano un quotidiano diverso da quello che è distribuito gratuitamente all’entrata della stazione. I giornali tradizionali sembrano in crisi, ma c’è da domandarsi: sono in crisi perché perdono costantemente lettori, assediati dalla concorrenza di Internet e della free press, o per carenza di credibilità? Il lettore non è insensato e capisce benissimo, anche se magari in modo non riflesso, che la selezione delle notizie, la scelta delle foto, la malizia dei titoli, l’ equilibro dei contenuti sono tutti segni che confluiscono ad un solo dato: una informazione frammentaria ed una non informazione.

Sfogliando qualsiasi tipo di giornale si ha la sensazione che non esistano elementi per trarre un giudizio su quanto realmente sta succedendo, ma il giornale risponde più ad altro a logiche ed ad altri interessi. Tanto vale accontentarsi del gossip un po’ banale e approssimativo della free press, che non costa nulla, o andare a cercare quello che più ci interessa in modo più approfondito sulla rete.

Ogni anno lo Stato elargisce ai giornali, grandi o piccoli, cooperative, giornali di partito, riviste una catasta di soldi di cui la gente sa poco o nulla. Si parla di oltre 700 milioni di euro l’anno. A che titolo sono spesi questi soldi? In Italia si legge poco e nessun giornale riesce a vivere di sole vendite, nel 1981 fu approvata una legge, pensata proprio per dare sostegno ai giornali d’ idee, come i giornali di partito, penalizzati dal mercato e non sorretti dalla pubblicità e allegati.

In realtà i giornali considerati di partito oggi, in tutto prendono il 5% degli stanziamenti. E allora il restante 95% a chi va? I lettori dei quotidiani non lo sanno, ma lo sanno bene gli editori, che incassano corposi contributi su spese telefoniche, elettriche e costo della carta. Una fetta di finanziamenti va poi a una galassia di giornali che hanno ottenuto l’accesso ai finanziamenti grazie alla firma di due deputati, spesso di schieramento opposto, che hanno dichiarato l’appartenenza della testata a un movimento politico. Il contributo statale si basa sui costi e sulla tiratura. Più copie si stampano e più aumenta il contributo ma si deve venderne almeno il 25% della tiratura, per esempio un giornale stampa 30000 copie, se vuole soldi pubblici, ne deve vendere 7500.

Allora alcuni giornali li regalano o li mettono in discount percependo così oltre al finanziamento un vantaggio per una più ampia visibilità di pubblicità offerta all’utente in modo gratuito, a un maggior numero di persone. Tutti si danno da fare, nessuno escluso, giornali di destra, sinistra, del Vaticano (CEI), della CISL, ma anche giornali di cavalli, sport, auto, ecc. … proprio tutti, alcuni dei quali escono con appena quattro pagine. Se poi pensiamo al frequente uso della carta stampata come un mezzo di arringa politica manipolata, e alla sofferenza per chi legge nel ricercare il vero, che in fondo è ciò che ci muove a leggere e a comprare un giornale, allora si lascia ogni speranza al lettore ed ad un futuro prospero della stampa cartacea.

In contrapposizione la Rete, sta conoscendo una crescita esponenziale. La realtà, dunque, è che i siti web sono sempre più importanti; peccato però che le dinamiche per avere successo su Internet non sono ancora chiare agli addetti ai lavori, perché il flusso così generato permette di raggiungere picchi di lettura molto elevati, ma assai incerti. Motori di ricerca come Google news (che propone una selezione delle notizie più cliccate sulla Rete) o Yahoo news (che seleziona dispacci di agenzia) sono sempre più apprezzati, tanto che appaiono sempre ai primi posti nelle classifiche NielsenNet Ratings.

Alcune redazioni hanno cercato di cavalcare questo fenomeno comprando spazi a pagamento su Google, abbinati a certe parole chiave, non sempre però con risultati soddisfacenti, perché in realtà questi servizi costano, per cui si preferisce puntare sempre di più sulla qualità della propria offerta redazionale. L’ informazione on-line appare così più immediata, più aggiornata e fruibile gratuitamente in ogni momento, chi riprende un evento fa notizia, molti blog sono più visitati degli stessi giornali. Paradossalmente, alcuni contenuti portati in rete da comuni utenti del web sono addirittura migliori di quelli della tradizionale carta stampata, dove tutti possono fare informazione.

Non si sa quindi chi sarà o non sarà il giornalista del domani, di sicuro grazie a i giornali online stiamo andando verso un’informazione sempre più diversificata e vera. Ogni lettore potrà quindi creare la sua personale scaletta di notizie come un palinsesto televisivo, non importa se l’articolo si trova a pagina uno o diciassette né se il quotidiano è di Monza o Lecco, online sono le persone, e non la direzione del giornale, a stabilire la gerarchia degli articoli.

L’homepage non ha la stessa funzione della prima pagina, il lettore naviga di qua e di là. Assapora, si lascia tentare dalle offerte altrui e quando scopre un sito d’informazione che davvero gli piace tende a frequentarlo e a rimanerci. Più l’informazione è chiara, spiegata, e oggettiva corredata da dati certi e più ha successo. I giornalisti attuali diventeranno dei disadattati se non restituiranno attendibilità alle notizie e alle opinioni espresse. Un conto è raccontare balle dietro alla scrivania di un ufficio, altro è confrontarsi con la Rete.

Negli Stati Uniti con 100.000 accessi unici a mese puoi vivere. Rendono fino a 75.000 dollari all’anno. I giornali on line hanno impresso all’informazione un dinamismo straordinario, coinvolgendo i lettori e facendoli partecipare alla costruzione dei messaggi dell’informazione. E’ finita l’era dei grandi feudatari dell’informazione, dei soloni che discettano su ciò che è giusto o è sbagliato, su che cosa va riferito all’opinione pubblica e ciò che invece va tenuto in serbo in attesa di giorni migliori. È finito il monopolio della notizia, il potere di scegliere il da farsi ogni mattino.

Oggi metti la tua credibilità e competenza in Rete e chi ti paga, anche se indirettamente, è il lettore, sono i tanti accessi, con altrettanta pubblicità on line e naturalmente soldi. Alcuni direttori di giornali cartacei in quest’ottica non arriverebbero a guadagnare 10 euro al mese e altri avrebbe dovuto pagare loro per farsi leggere.