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Wikileaks: è cyber guerra, hacker attaccano Visa, Interpol e non solo

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da Agi e Apcom

Il sito web della Visa e’ di nuovo off-line. E’ stato attaccato degli hacker in risposta al rifiuto del colosso di carte di credito Usa di accettare donazioni per Wikileaks. Il sistema utilizzato e’ quelo di sovraccaricare di richieste il portale di visa.com bloccandone ogni attivita’ (in gergo DDos). L’attacco subito dal sito web non ha messo però a rischio i dati sensibili dei clienti della societa’. Lo avrebbe riferito lo stesso colosso delle carte di credito Usa.

Anche i siti dell’ex governatore dell’Alaska Sarah Palin e del senatore ultra-conservatore Usa Joe Lieberman, dopo quelli di Mastercard e Visa, sono stati colpiti da un attacco di hacker, che hanno voluto così manifestare il loro sostegno a Wikileaks e al suo fondatore, Julian Assange, detenuto in Gran Bretagna con l’accusa di stupro.

L’attacco informatico è stato lanciato dal gruppo “Anonymous”, che ha promesso di colpire tutti coloro che avrebbero tenuto dei comportamenti “anti-WikiLeaks”. Mastercard e Visa, secondo gli hacker, sarebbero colpevoli di avere bloccato il trasferimento di fondi al sito di Assange, che sta pubblicando in questi giorni migliaia di documenti riservati che stanno mettendo a rischio la rete delle relazioni diplomatiche internazionali.

Sarah Palin, invece, aveva descritto il fondatore di Wikileaks come “un agente anti-americano con le mani sporche di sangue”. Il suo sito internet, attaccato dagli hacker, è rimasto fuori uso per alcuni minuti, ha confermato un esperto di sicurezza informatica, Sean-Paul Carroll. E i sostenitori di Wikileaks, oltre a colpire il sito web della paladina conservatrice del Tea Party, hanno disabilitato anche le sue carte di credito e quel del marito Todd.

Quanto a Joe Lieberman, il senatore Usa aveva chiesto alle aziende americane di ritirare il loro sostegno tecnico a Wikileaks.

Intanto, sul sito di WikiLeaks è apparso ieri per la prima volta un documento della diplomazia americana sul Vaticano. In una nota confidenziale del 21 gennaio 2010 diretta al dipartimento di Stato americano a Washington si legge che “il Papa Benedetto XVI appoggia gli sforzi degli Stati Uniti di allineare i Paesi agli accordi di Copenaghen entro il 31 gennaio e li incoraggerà a farlo”.

Il documento, titolato “Papa verde appoggia la linea degli Stati Uniti verso Copenaghen”, spiega che “il recente messaggio ambientale del Papa offre ai funzionari del Vaticano una forte piattaforma per fare pressioni attraverso l’autorità morale della Chiesa nella lotta al cambiamento climatico”. Il documento parla anche di un incontro con Paolo Conversi, il funzionario del Vaticano che si occupa del cambiamento climatico, il quale avrebbe espresso “il desiderio genuino del Papa di vedere realizzati gli accordi di Copenaghen”.

Conversi avrebbe anche spiegato che il Vaticano era “comprensivo riguardo alle lamentele” dei Paesi dissidenti, fra cui Venezuela e Cuba, ma che era comunque riteneva il loro atteggiamento “politico”. Il funzionario dell’ambasciata americana al Vaticano commenta alla fine che “l’offerta di Conversi di appoggiare gli Stati Uniti, sia pure discretamente, è significativa perché il Vaticano è spesso riluttante a compromettere la propria indipendenza e autorità morale associandosi a particolari attività di lobby”.

“Ancora più importante”, continua il commento, “è l’influenza che il Papa potrebbe avere sull’opinione pubblica in Paesi a vasta maggioranza cattolica”.

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Di Anna Masera, da La Stampa

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(WSI) –«La trappola si è attivata, i poteri oscuri sono entrati in azione. Dopo quello che abbiamo visto finora, possiamo concludere che fa parte di un piano più grande»: la dichiarazione ieri di Mark Stephens, uno degli avvocati di Julian Assange, è condivisa su Internet da molti suoi simpatizzanti.

Perchè se è vero che il fondatore di Wikileaks ha nemici potenti, ha anche molti amici. A partire dall’opinione pubblica in Rete: nei sondaggi i voti sono a favore della causa di Assange (su LaStampa.it supera l’80 per cento), mentre le manifestazioni di solidarietà emergono un po’ ovunque, da Facebook a Twitter ai blog ai commenti nei forum dei principali giornali online.

C’è la ribellione degli internauti che, indignati per il blocco delle donazioni da parte del sistema di pagamenti online americano Paypal, hanno deciso di boicottarlo e disattivare l’abbonamento. Una protesta di portata tale da costringere Paypal a giustificarsi: «Lo abbiamo fatto perchè il Dipartimento di Stato ci aveva detto che quel che stavano facendo era illegale», confermando così le pressioni Usa contro l’organizzazione di Assange.

L’islandese DataCell, che permette a Wikileaks di ricevere donazioni, ha denunciato la Visa per aver sospeso i suoi versamenti al sito. C’è però anche la rivolta degli hacker, quegli esperti informatici che fanno a gara in questi giorni a lanciare manifesti di sostegno e annunciare attacchi contro i siti di Stati, banche e società che hanno boicottato il network dedicato alla fuga di notizie.

Alcuni si definiscono «cavalieri Jedi» e considerano Julian il loro «Maestro Yoda». Ma i più incattiviti hanno cominciato a «bucare» le pagine Web e a distribuire programmi «DoS» («denial of service»), cioè che rendono inaccessibile un sito per un eccesso fittizio di richieste: gli stessi utilizzati da chi ha bloccato Wikileaks.

Così, le incursioni degli hacker filo-Assange si moltiplicano: LaStampa.it ha avuto nella notte la prova che lo stesso sito dell’Interpol è stato bucato dagli hacker, per dimostrare quanto poco sicuri siano i segreti nella società dell’informazione digitale.

Tutti i siti mondiali della Mastercard ieri sono stati oggetto di servizio negato, dopo che la società di credito ha bloccato i trasferimenti di denaro a WikiLeaks. Nel mirino sono finiti anche il sito web della procura svedese e l’email del legale che rappresenta le due donne che hanno accusato il fondatore di Wikileaks di sesso consenziente ma non protetto. Sotto tiro anche il sito di Sarah Palin, la paladina conservatrice del Tea Party: gli hakeck hanno disabilitato le sue carte di credito e quel del marito Todd.

Tra coloro che tifano per il fondatore di Wikileaks c’è gente che ha maneggiato quei segreti per decenni e ritiene che rivelarli sia più utile che tenerli in un cassetto: un gruppo di ex agenti della Cia e dell’Fbi ed ex ufficiali del Pentagono, tra cui quel Daniel Ellsberg, che nel 1971 fornì a New York Times e Washington Post i Pentagon Papers. «Ogni attacco fatto a Wikileaks e a Julian Assange è un attacco a me e alla decisione di rendere noti i Pentagon Papers» ha dichiarato.

A firmare il suo appello su Accuracy.org anche l’ex ambasciatore britannico in Uzbekistan, Craig Murray, e Larry Wilkerson, ex capo di gabinetto di Colin Powell. Non mancano dichiarazioni di simpatia da parte di leader politici: il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha espresso soddisfazione per le indiscrezioni che rivelano quanto i paesi arabi temano il nucleare iraniano; per il leader libico Muammar Gheddafi «mette a nudo l’ipocrisia Usa»; mentre una fonte del Cremlino avrebbe commentato con ironia che Assange andrebbe «candidato al premio Nobel».

L’Australia, il Paese natale di Assange, sotto la pressione dei suoi concittadini ha cominciato a fornirgli assistenza consolare e il ministro degli Esteri ha detto che la responsabilità della fuga di notizie è degli Usa.

Intanto, Wikileaks ha ripreso a funzionare su una miriade di siti alternativi e le sue rivelazioni vengono pubblicate quotidianamente sui giornali di tutto il mondo, tanto che il figlio ventenne di Assange, Daniel, su Twitter fa notare che se suo padre fosse ritenuto colpevole per la diffusione dei documenti segreti, ogni singolo giornale che ha pubblicato i dispacci è «ugualmente colpevole».

Il senatore Joe Lieberman ha chiesto l’estradizione di Assange negli Usa per spionaggio e la galera per il New York Times e gli altri media che hanno pubblicato i documenti del Cablegate. «Abbiamo fatto giornalismo responsabile, legale e importante per una società democratica» ha replicato il New York Times.

La Federazione internazionale dei giornalisti (Ifj) ha accusato gli Usa di «attaccare la libertà di espressione». Oggi Assange incontrerà i suoi legali: si è aggiunto Geoffrey Robertson, esperto in diritti civili e in estradizioni. Il timore? Che la Svezia lo consegni agli Usa.

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