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WALL STREET SCENDE, MILANO INVECE SALE

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*Michele Pezzinga e’ lo strategist di CentroSim. I suoi commenti non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

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(WSI) – Wall Street scende, l’Europa, e Milano in particolare, imperterriti salgono.
Tutto logico o c’è una qualche contraddizione che quanto prima verrà
risolta? Come sempre, dipende dai punti di vista. Il nostro è che l’economia
USA continui sì a crescere, ma a ritmi più blandi che nel 2004, in ogni caso
quasi doppi rispetto all’Europa Continentale (diciamo un +3% contro un
+1,6%); l’inflazione dovrebbe convergere sugli inferiori livelli europei,
nell’area 2% per quanto riguarda gli indici core dei prezzi al consumo, e
nonostante l’attenzione sempre vigile delle Banche Centrali non dovrebbe
rappresentare un problema nemmeno nel 2005; i tassi dovrebbero salire ancora
un po’ negli USA e rimanere invece fermi ancora a lungo in Europa, con
differenziali sui rendimenti a lunga scadenza che potrebbero ampliarsi
ancora, nonostante le curve tendano a rimanere estremamente piatte; il
dollaro, infine, dovrebbe continuare ad indebolirsi, superando quota 1.40
entro la fine dell’anno.

Tutto sotto controllo, dunque, salvi i numerosi
squilibri che rimangono sempre irrisolti, da quello tra la crescita degli
USA e nel resto del mondo, a come i consumatori USA potranno mantenersi a
lungo ancora così esuberanti, dopo aver azzerato la quota di reddito
destinata al risparmio. Il ricorso al debito e il sostegno derivante dal
crescente valore delle attività in portafoglio, immobili ed azioni in
particolare, rimarranno elementi chiave dalla cui tenuta dipenderà anche la
solidità del quadro generale.

I segnali macro giunti negli ultimi giorni sembrano confermare questa
visione: i consumi delle famiglie americane continuano a tirare, pur facendo
leva sul crescente indebitamento – con un ammontare di oltre 800 mld di
dollari il debito collegato alle carte di credito è ormai pari al doppio
dello stock di mutui immobiliari, ed solo grazie ai bassi tassi d’interesse
che il suo costo non incide in maniera così rilevante sul reddito
disponibile (siamo vicini al 9% “soltanto”) – ma in questo modo accentuano
gli squilibri nei conti con l’estero, alimentando le importazioni. Lo
squilibrio del debito interno e quello parallelo del disavanzo esterno non
sembrano trovare pertanto l’auspicata soluzione, accentuando la rischiosità
del quadro generale di fronte ad un possibile shock esterno. Tra l’altro, il
migliore andamento dei consumi verrà eliso, nel calcolo del PIL, dal maggior
impatto del deficit esterno; in altre parole, la crescita del 4° trimestre
dovrebbe collocarsi in un intorno di quel +3% da noi finora previsto.

Scendendo nel concreto, le vendite al dettaglio di dicembre USA sono
cresciute di un solido +1,2%, che comunque si sarebbe ridotto ad un +0,6%
senza le componenti auto (+4,3%) e carburanti (-2%); le importazioni di
novembre, quando le vendite al dettaglio erano cresciute di un ben più
modesto +0,1%, sono però salite dell’1,3%, e con un export sceso del 2,3%, a
causa della debolezza della domanda estera, hanno fatto esplodere il deficit
della bilancia commerciale ad un nuovo record storico, oltre i 60 mld di
dollari mensili. Due elementi sono da sottolineare: primo, il calo del
dollaro, al contrario di tutte le precedenti esperienze, non aiuta affatto a
risolvere il problema disavanzo, il che rende il fenomeno doppiamente
allarmante; secondo, non è affatto colpa della sola Cina. Il suo avanzo con
gli USA è infatti rimasto stabile intorno a 16,6 mld di dollari, mentre è
salito da 5,9 a 7,3 mld quello del Giappone e da 9,9 a 10,8 quello
dell’Europa Occidentale. E non c’entra nemmeno il petrolio, visto che
l’avanzo dei Paesi Opec con gli USA è sceso in novembre da 7,2 a 6,9 mld di
dollari.

E’ quindi altamente probabile immaginare un ulteriore peggioramento
del deficit a dicembre, a fronte dell’avanzo record già reso noto dalla Cina
nello stesso mese (ben 11 mld di dollari a livello complessivo, con un forte
incremento dell’export verso tutte le principali aree di sbocco, USA
compresi). Un divario che alimenterà tentazioni protezionistiche e pressioni
sulla Cina perchè rivaluti. Da notare, infine, il -1,3% registrato in
dicembre dai prezzi all’importazione USA, nonostante la concomitante
debolezza del dollaro; su di essi ha però influito l’impatto favorevole (un
calo ora rientrato) dei prodotti petroliferi, senza i quali sarebbero saliti
di un +0,5%, comunque non drammatico.

Con una crescita degli utili analoga negli USA come in Europa Continentale,
e su cui dovrebbe agire, con effetti divergenti, la possibile debolezza del
dollaro, ragionevolmente è Wall Street che dovrebbe apparire vincente;
viceversa, come già nel 2004, sul mercato dei bond quelli euro dovrebbero
battere i Treasuries, anche al di là dell’impatto del cambio. Ma le Borse,
per quel po’ che può valere la performance da inizio anno, non si stanno
muovendo in questa direzione: l’S&P 500 ha infatti ceduto il 2,8%, il Nasdaq
Composite il 4,8% e il Russel 2000, indice delle mid-small cap, addirittura
un 6,4%, mentre il Dow Jones Stoxx 50 dei titoli europei ha perso solo uno
0,2%, sostenuto dal nostro Mibtel (+0,64%) a fronte di un più netto ribasso
del Dax (-1%).

Si può discutere della peculiare forza relativa del nostro
mercato (l’effetto liquidità derivante dall’OPA Tim, il solito appeal delle
realtà più difensive, che qui da noi abbondano più che altrove), ma il punto
è che solitamente Wall Street faceva da faro per le Borse europee ed i suoi
ribassi venivano sempre amplificate dalle altre; ora invece queste sembrano
muoversi in maniera più autonoma, addirittura in controtendenza. Le
valutazioni non ci sembrano una ragione convincente: paragonare i multipli
di mercati dalla composizione e le caratteristiche totalmente differenti ci
pare molto azzardato: quante società scalabili ci sono in Europa
Continentale? E quanto pesano gli industriali o i tecnologici su listini
come il nostro? A nostro avviso la spiegazione continua a poggiare sui
flussi di liquidità, che anche dall’estero tendono a privilegiare l’area
euro ed i mercati /settori più difensivi.

Per questo motivo, continuiamo a
puntare sul nostro provocatorio portafoglio ultra-conservativo
(quasi-obbligazionario, più qualche situazione speciale) che non a caso
continua a battere l’indice. Avrebbe fatto ancora meglio se avesse incluso
anche le realtà autostradali, che rappresentano benissimo lo spirito
dell’attuale momento: aziende dal business stabile, per nulla esposte alla
concorrenza e a tutti i problemi dello scenario internazionale (dollaro,
Cina e quant’altro) e la cui valutazione continua a lievitare in parallelo
con la discesa dei rendimenti a lunga.

La loro esclusione dipendeva da un
solo motivo personale: avendo in passato lavorato sulle “privatizzazioni” ed
avendo espresso enormi perplessità sulla logica che voleva trasferiti ai
privati dei monopoli naturali su cui non veniva attuato un adeguato
controllo in materia tariffaria, non me la sentivo di suggerire l’acquisto
delle Autostrade di turno. Ma per chi non si è mai posto questi inutili (e
finanziariamente dannosi) problemi “etici”, e crede che “l’indecenza” delle
decisioni tariffarie possa riproporsi ancora a lungo, i titoli del comparto
possono rappresentare ancora una manna dal cielo in scenari, come l’attuale,
di bassa crescita e tassi a lunga sempre compressi.

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