Intrappolati nella morsa delle tensioni geopolitiche, i listini azionari hanno chinato la testa per la quarta settimana consecutiva. La preoccupazione di un’imminente guerra contro l’Iraq e sulla ripresa degli attentati terroristici ha tenuto banco sulle borse, facendo passare in secondo piano i segnali incoraggianti provenienti dal fronte macroeconomico.
`Poiche’ siamo in un contesto molto volatile, il copione sui mercati sembra sempre lo stesso: appena c’e’ un rally, anche piccolo, subito dopo gli investitori si affrettano a raccogliere profitti”, ha dichiarato Brian Belski, chief market strategist per la banca d’affari U.S. Bancorp Piper Jaffray.
“Il mercato non guarda piu’ in la’ del breve termine – ha aggiunto Belski – e finche’ non verranno risolte alcune questioni sul lungo termine, come la guerra e l’outlook degli utili, gli indici continueranno ad essere instabili”.
Rispetto a venerdi’ scorso, il Dow Jones e’ arretrato di 189,58 punti (-2,35%) a quota 7.864,23. Dall’inizio dell’anno l’indice industriale e’ in calo di 477,4 punti (-5,72%). Rispetto a un anno fa segna invece un calo di 1.880 punti (-19,29%).
Con una perdita di 26 punti (-3,04%), l’S&P 500 e’ sceso a quota 829,69. Dalla chiusura del 31 dicembre 2002 l’indice ha registrato un ribasso di 50,13 punti (-5,70%), mentre su base annua la perdita e’ di 266,53 punti (-24,31%).
Il Nasdaq questa settimana e’ arretrato di 38,44 punti (-2,91%) a quota 1.282,47. Dall’inizio del 2003 l’indice tecnologico ha perso 53,04 punti (-3,97%), mentre rispetto allo stesso periodo del 2002 e’ in calo di 536,41 punti (-29,49%).
L’intervento del Segretario di Stato americano Colin Powell al Palazzo di Vetro non e’ riuscito a vincere le resistenze di alcuni Paesi membri del Consiglio di Sicurezza sull’opportunita’ di attaccare Saddam Hussein senza ulteriori dilazioni.
Le tensioni a Wall Street sono poi aumentate nella giornata di venerdi’, quando il Governo ha portato il livello di allerta ad “orange”, stadio che indica un “alto rischio” di attentati terroristici. Non sono riusciti a risollevare l’umore degli operatori i dati migliori delle attese sul mercato del lavoro. Da segnalare, comunque, che i buoni numeri sono stati in parte determinati da alcuni fattori stagionali.
Performance settimanale dei listini americani |
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Indici | Valori al 7/2/2003 | Variazioni ultima settimana |
Variazioni da inizio anno | Variazioni ultimi 12 mesi |
DJIA | 7864,23 | -189,58 (-2,35%) |
-477,4 (-5,72%) | -1.880,01 (-19,29%) |
S&P500 | 829,69 | -26,01 (-3,04%) |
-50,13 (-5,70%) | -266,53 (-24,31%) |
Nasdaq | 1.282,47 | -38,44 (-2,91%) | -53,04 (-3,97%) | -536,41 (-29,49%) |
Fonte dati: Ufficio Studi WallStreetItalia |
IL MERCATO AZIONARIO
Nel mirino degli investitori questa settimana sono finiti in particolare i titoli assicurativi, travolti dal crollo di American International Group (AIG – Nyse, -13,8%). Il mercato ha accolto molto negativamente, infatti, la decisione del primo gruppo assicurativo al mondo di iscrivere in bilancio oneri di $1,8 miliardi per aumentare le riserve di indennizzi sul lavoro. L’indice DJ_INS e’ cosi’ arretrato dell’8,1%.
Sul comparto della difesa ha invece pesato la tragedia dello shuttle Columbia, avvenuta nella mattina di sabato 1 febbraio. Tra le societa’ piu’ colpite, Boeing (BA – Nyse, -5%) e Lockheed Martin (LMT – Nyse, -2%), entrambe importanti fornitori della Nasa, l’agenzia aerospaziale americana. L’indice DFX ha complessivamente ceduto il 2,3%.
I risultati a toni chiaroscuri per le vendite di gennaio delle societa’ retail hanno portato in calo l’indice RLX
(-2,2%). Le perdite hanno investito anche Wal-Mart (WMT – Nyse, -2%), nonostante le previsioni ottimistiche sugli utili del 2003.
La buona trimestrale di Expedia (EXPE – Nasdaq) e alcuni giudizi positivi su e-Bay (EBAY – Nasdaq) poco hanno potuto a contenere le vendite sul comparto Internet (GIN -1,9%). In particolare, continuano a pesare le difficolta’ di AOL Time Warner (AOL – Nyse, -8,5%), che questa settimana ha annunciato di attendersi un peggioramento della situazione finanziaria.
Brutte notizie per il settore hi-tech sono arrivate dai colossi telecom europei Alcatel (ALA – Nyse) e Ericsson (ERICY – Nasdaq), cui ha fatto eco il debole fatturato trimestrale dell’americana Cisco Systems (-4%). L’indice networking NWX (NWX), rispetto a venerdi’ scorso e’ arretrato del 5,2%.
A ribadire le prospettive deboli della spesa in hi-tech e’ intervenuto anche il direttore operativo di Dell Computer (DELL – Nasdaq), Kevin Rollins, preoccupato soprattutto dall’incertezza dell’economia e dalle questioni geopolitiche. I pronostici deludenti di Electronic Data Systems (EDS – Nyse) hanno poi ulteriormente appesantito il clima. IBM (IBM – Nyse) e Hewlett-Packard (HPQ – Nyse) hanno perso rispettivamente l’1,4% e il 5%, mentre l’indice hardware GHA (GHA) ha ceduto quasi il 4%.
Uno spiraglio e’ invece arrivato dal colosso dei semiconduttori Intel (INTC – Nasdaq) che si e’ detto convinto che un rimbalzo della spesa dele aziende e’ ormai dietro l’angolo. Il gigante dei semiconduttori ha fatto notare come l’attuale ciclo tecnologico sia giunto ormai al termine e che le aziende dovranno molto presto sostituire i vecchi Pc. La notizia non e’ riuscita tuttavia a mitigare le preoccupazioni degli investitori, in questo momento di incertezza sul fronte geopolitico.
Lo stesso settore dei chip, che tra l’altro ha assistito alle previsioni ottimistiche della Semiconductor Industry Association, non ha fatto eccezione nel panorama dei titoli tecnologici. A deprimere l’indice SOX (SOX) (-4%), tra l’altro, sono intervenuti i risultati deludenti di Agilent Technologies (A – Nyse). Tra i titoli del comparto, ha chiuso in forte calo anche Nvidia (NVDA – Nasdaq, -5%), nonostante i rialzi messi a segno dopo aver concluso un accordo con Microsoft (-1,8%) sui prezzi della piattaforma per videogame Xbox.
Tra le altre societa’ che hanno riportato i risultati questa settimana, ha battuto le aspettative Colgate-Palmolive (CL – Nyse), mentre ha riportato utili in linea con le stime PepsiCo (PEP – Nyse). Seguendo l’esempio della concorrente Coca-Cola (KO – Nyse), la società di bevande analcoliche ha annunciato che non continuera’ a fornire previsioni sui risultati.
I DATI MACROECONOMICI DELLA SETTIMANA
- Spesa per le costruzioni. Il dato di dicembre si e’ attestato a $858,3 miliardi, registrando un incremento dell’1,3%, il piu’ elevato dal febbraio 2002.
- ISM manifatturiero. L’indice dei manager responsabili degli ordini di acquisto a gennaio e’ sceso a quota 53,9 dai 55,2 punti di dicembre. Il dato, comunque, resta sopra l’importante soglia dei 50 punti, demarcazione tra un comparto manifatturiero in contrazione da uno in espansione.
- Ordini alle fabbriche. Gli ordini di dicembre sono aumentati dello 0,4%, un risultato leggermente superiore rispetto alle previsioni del mercato.
- ISM Servizi. Il dato sui servizi a gennaio e’ aumentato per il dodicesimo mese consecutivo, portandosi a 54,5 punti. Anche l’indicatore dei servizi, quindi, continua a tenersi sopra la quota chiave a 50 punti.
- Sussidi di disoccupazione. Le nuove richieste di sussidi sono calate di 11.000 unita’, a quota 391.000. Fattore positivo: l’indicatore resta sotto le 400.000 unita’, soglia che separa un mercato del lavoro in espansione da uno in recessione.
- Produttivita’ – Prel.. Nel quarto trimestre 2002 l’indice ha registrato un calo dello 0,2%. Si tratta del primo ribasso dal secondo trimestre del 2001. Gli economisti si attendevano una crescita del 0,7%. Nel 2002, la produttivita’ Usa e’ cresciuta del 4,7%, il rialzo piu’ consistente dal 1950.
- Rapporto sull’occupazione. Il tasso di disoccupazione Usa a gennaio si e’ attestato al 5,7%, il livello piu’ basso degli ultimi tre mesi. I posti di lavoro del settore non agricolo sono aumentati di 143.000 unita’, segnando il piu’ alto incremento degli ultimi due anni. Entrambe i dati sono risultati migliori delle stime degli economisti. I buoni risultati sono tuttavia in parte attribuiti a fattori stagionali e comunque non variano in trend di debolezza del settore.
- Scorte di magazzino all’ingrosso. Il dato di dicembre e’ aumentato dello 0,8%, a quota $287,26 miliardi. L’indicatore si e’ rivelato migliore delle previsioni.
IL MERCATO DEI BOND
Passando ai titoli di Stato, la settimana si e’ distinta ancora una volta per il forte appeal degli investimenti privi di rischi. Il benchmark sul Treasury a 10 anni ha aperto la settimana con un rendimento del 4,00% e, dopo aver segnato un minimo al 3,92%, lo yield e’ risalito fino al 4,03%. Nella seduta di venerdi’, a fronte di nuovi allarmi sul pericolo terroristico, il rendimento si e’ poi portato al 3,94%.
- Tasso a 13 settimane (IRX – CBOE)
- Tasso a 5 anni (FVX – CBOE)
- Tasso a 10 anni (TNX – CBOE)
- Tasso a 30 anni (TYX – CBOE)
Sul fronte dei segnali positivi va osservato come, nonostante il momento difficile, la curva dei rendimenti rimane ancora molto elevata, segno di un mercato che sconta una ripresa economica sostenuta, pur se non in tempi brevi.
A confortare questa ipotesi e’ il comportamento dei corporate bond. Mentre il mercato azionario riserva ancora forti delusioni agli investitori, le obbligazioni societarie proseguono il cammino verso il restringimento degli “spread” con i titoli di Stato, sebbene ad un ritmo inferiore rispetto a dicembre e gennaio.
Dal punto di vista strategico, i gestori di fondi obbligazionari mantengono un’ottica prudente e cercano di accorciare la duration media del portafoglio. Gli istituzionali mantengono una forte attività sui contratti swap, segno che la percezione del rischio sulla parte lunga della curva dei rendimenti tende ad aumentare.
IL MERCATO DELLE VALUTE
Dopo aver perso costantemente terreno per tutto il mese di gennaio, il dollaro e’ entrato in una fase laterale. Il cambio con l’euro ha segnato un minimo appena sotto quota $1,07 (il 2 febbraio) e un massimo a quota $1,0935 (5 febbraio) mentre i valori di chiusura, se si esclude la giornata di martedi’, si sono mantenuti nella fascia $1,0778-1,0825.
La tendenza rialzista della valuta europea viene comunque confermata. A livello operativo, infatti, gli esperti di Merrill Lynch continuano a mantenere le posizioni lunghe sull’euro e corte sul dollaro aperte lo scorso dicembre a $1,026, con target a $1,15 e stop loss a $1,07.
Sul fronte del cambio con la moneta giapponese, da segnalare il raggiungimento dei 120,00 yen per biglietto verde. Una valore che ha dimostrato di poter arginare l’emorragia di capitali in uscita dalla borsa nipponica. E’ importante comunque ricordare che sulla quotazione pesa l’intervento della Banca del Giappone.
Secondo i calcoli degli analisti, la BOJ dal mese di giugno 2002 avrebbe venduto yen contro dollaro per $15 miliardi. Pur trattandosi di una cifra non significativa, rispetto al totale dell’intermediato, e’ un segnale importante che induce gli operatori a chiudere eventuali operazioni speculative.
CONCLUSIONI
Wall Street ha archiviato un’altra settimana in calo. I ribassi che durano da oltre 3 anni non sembrano arrestarsi neanche davanti a valutazioni diventate in alcuni casi allettanti. Il 2002 e’ stato il primo anno dal 1998 in cui si e’ registrato un saldo netto negativo per oltre $24 miliardi (solo negli USA) di investimenti nel comparto azionario. Gli ultimi dati relativi al mese di gennaio mostrano buone possibilita’ di proseguire in questa direzione anche nella prima parte del 2003.
Un periodo di ribasso tanto prolungato puo’ non essere un grosso problema per gli speculatori e per gli addetti ai lavori che necessitano piu’ di un trend ben definito che di un mercato necessariamente toro. Diverso e’ il discorso per i piccoli investitori che sono entrati nel mercato direttamente o attraverso fondi d’investimento. In questo caso lo scenario comincia a farsi scoraggiante.
Chi ha comprato nel 2001, ad oltre 1 anno dallo scoppio della bolla speculativa, titoli come Microsoft o Cisco o anche General Electric, seguendo consigli di chi, giustamente, assicurava che titoli in ribasso del 40% dai valori massimi e con bilanci sani erano un buon investimento, ora perde ancora dal 30% al 60%. Si tratta di cifre che non e’ credibile poter recuperare in tempi stretti. In questo quadro, le analisi di chi prevede un recupero dei listini del 10%-15%, in seguito ad un’eventuale risoluzione della questione Iraq, sono plausibili ma potrebbero non bastare.