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WALL STREET EUFORICA, BENEDETTO BERNANKE

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Giornata strepitosa per Wall Street, in forte rialzo grazie alla testimonianza del presidente della Fed, Ben Bernanke, da cui e’ emerso un vicino stop a ciclo rialzista sui tassi. Ad offrire supporto anche l’ulteriore calo del greggio e le trimestrali di alcune big americane. Il Dow Jones ha guadagnato l’1.96% a 11011, l’S&P500 l’1.86% a 1259, il Nasdaq ha guadagnato l’1.83% a 2080.

In un intervento al Congresso, Ben Bernanke ha dichiarato che l’inflazione continua a rappresentare un problema, ma ha evidenziato come il rallentamento economico, che si sta gia’ materializzando, avra’ l’effetto di affievolire le pressioni inflazionistiche nel prossimo futuro.

Ha inoltre aggiunto che gli effetti dei recenti rialzi del costo del denaro non hanno ancora iniziato a produrre i risultati sperati: il fatto potrebbe portare la Fed a lasciare invariati i fed funds nel meeting di agosto, fornendo il tempo necessario perche’ cio’ avvenga. Ricordiamo che al momento il costo del denaro e’ al 5.25%.

Le dichiarazioni, ben accolte dagli operatori a Wall Street, sono giunte proprio nello stesso giorno in cui e’ emersa una nuova accelerazione dei prezzi, come ha dimostrato il dato sul CPI. Nel mese di giugno l’indicatore e’ cresciuto dello 0.2%, ma la versione “core”, avanzata dello 0.3% per il quarto mese consecutivo, si e’ attestata ad un livello superiore a quello atteso, portando il tasso annuale al 2.6%, oltre al tetto massimo fissato dalla Federal Reserve.

A confermare il rallentamento economico e’ stato invece il dato sul settore immobiliare, con i nuovi cantieri edili diminuiti del 5.3% nell’ultimo mese, e le licenze di costruzione risultate in calo anch’esse.

Per il resto, sono risultati contrastati i numeri trimestrali di alcune grosse azienda statunitensi. Bene il colosso informatico IBM, il cui titolo e’ cresciuto di quasi il 3%, dopo che la societa’ ha riportato un incremento dei profitti di oltre il 10% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In rialzo anche il gruppo finanziario JP Morgan, schizzato di oltre il 5% sulla scia dei risultati trimestrali piu’ che triplicati.

Male invece il comparto Internet, trascinato al ribasso dalla deludente trimestrale di Yahoo!. Il titolo e’ scivolato ai minimi di due anni con una performance negativa superiore al 20%, a causa dei deboli risultati e dell’outlook negativo per il trimestre in corso, inferiore a quello stimato dal mercato. La societa’ continua a soffrire il dominio di Google nel settore dei motori di ricerca online.

All’interno del Dow Jones, tutti i titoli hanno chiuso in territorio positivo. A registrare rialzi superiori ai tre punti percentuali sono stati Boeing, Home Depot, Hewlett-Packard, United Tech e Pfizer, oltre al gia’ citato JPM.

A spingere al rialzo i listini e’ stato anche l’ulteriore deprezzamento del petrolio, sempre piu’ lontano dai recenti massimi storici, scivolato sotto la soglia dei $73 al barile. A causa di un aumento inaspettato delle scorte settimanali, i futures con scadenza agosto hanno lasciato sul terreno 88 centesimi chiudendo a quota $72.66, minimo di tre settimane.

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Le dichiarazioni di Bernanke hanno sortito effetti piu o meno notevoli anche sugli altri mercati. Sul valutario, l’euro si e’ rafforzato nei confronti del dollaro. Nel tardo pomeriggio di mercoledi’ a New York il cambio tra le due valute e’ di 1.2597. L’oro ha recuperato dal recente sell-off. I futures con consegna agosto sono avanzati di $13.30 a $642.80 all’oncia. In forte recupero anche i titoli di Stato. Il rendimento sul Treasury a 10 anni e’ sceso al 5.059% dal 5.13% di martedi’.

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BENEDETTO BERNANKE


di Ennio Caretto

WASHINGTON – Le Borse di tutto il mondo devono aver ieri benedetto Ben Bernanke, o almeno l’interpretazione data da Wall Street della sua audizione al Senato. Al secondo rapporto semestrale dall’ingresso in carica il primo febbraio, il presidente della Banca centrale Usa, la Fed, che non è certo un re della comunicazione, è stato così ambiguo da fare pensare – che lo volesse o no – che l’8 agosto prossimo non rialzerà più i tassi d’interesse.

Ciò è bastato a fare schizzare in alto gli indici dello Stock Exchange, di ben il 2% quello Dow Jones dei titoli industriali (che poi ha chiuso in rialzo dell’1,96%, mentre il Nasdaq è salito dell’1,83%) e insieme con esso gli indici delle Borse europee. Milano ha chiuso a più 2%, Londra a più 1,7%, Francoforte a più 2,6%. E come inevitabile, il dollaro è sceso rispetto all’euro, mentre i titoli di Stato e l’oro sono saliti. Talmente eccitata era Wall Street all’idea del proprio rilancio che alle 19 italiane sono scattati i meccanismi di limitazione del trading.

Non è il caso di affermare che se il predecessore Alan Greenspan era indecifrabile, Bernanke invece è incomprensibile: può darsi che il numero uno della Fed volesse rassicurare i mercati e frenare l’emorragia delle Borse delle scorse settimane, o che sia stato sottoposto a dure pressioni dalla Casa Bianca, che non vuole ulteriori restrizioni del credito alla vigilia delle elezioni congressuali di novembre. Ma non sorprenderebbe se nei prossimi giorni il Governatore fosse chiamato a spiegarsi meglio.

Ieri ha dato un colpo al cerchio e uno alla botte, lasciando per così dire la scelta al pubblico. E il pubblico, ossia gli operatori, hanno scelto ciò che volevano sentire: che l’economia sta rallentando, e quindi l’inflazione dovrebbe diminuire, e che gli effetti dei precedenti rialzi dei tassi non si sono ancora fatti sentire del tutto. Il rapporto semestrale in sé conforta la loro interpretazione. La Fed prevede che il prodotto interno lordo Usa aumenterà quest’anno del 3,25-3,50%, una frenata rispetto al vertiginoso aumento del 5,6% del primo trimestre.

E per l’anno venturo, anticipa una crescita lievemente inferiore, del 3-3,25%. In entrambi gli anni la disoccupazione resterebbe ai livelli minimi, il 4,75-5%, e non si registrerebbero pressioni salariali. Ma la testimonianza di Bernanke al Senato non è stata così a senso unico. Il banchiere centrale ha sì osservato che «l’attuale stato di transizione dell’economia dovrebbe contribuire a fare scendere l’inflazione, oggi in ascesa», ma ha poi aggiunto che se l’inflazione «fosse ostinata» i suoi danni sarebbero rilevanti e la lotta per sconfiggerla «sarebbe costosa».

Inquietante, inoltre, è stata la sua analisi del caro petrolio. «A causa sua» ha rilevato Bernanke «le spinte inflazionistiche sono risultate superiori al previsto soprattutto nel settore dei derivati del greggio, e ora si riflettono persino sui servizi». L’aspettativa è che i prezzi del petrolio si stabilizzino, «ma questa aspettativa è stata regolarmente delusa negli ultimi anni». Altro motivo d’allarme per il Governatore è l’eccessivo «boom» edilizio.
La Fed, pertanto, deve restare vigile affinché la situazione non peggiori. Non che gli Stati Uniti siano a rischio, perché nell’economia globale non si vede chi possa sostituirli, ma sono in difficile equilibrio. Un equilibrio che verrebbe rotto, secondo i mercati, se l’8 agosto, alla riunione del Comitato direttivo, la Fed rialzasse gli interessi dal 5,25 al 5,50%. Sarebbe la diciottesima volta dal giugno del 2004, una volta di troppo per gli operatori. Nella tensione in cui è, Wall Street farebbe una brutta caduta.

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