(WSI) – Un certo numero di imprese europee quotate a Wall Street sta esaminando l’eventualità di un delisting, cioè di togliersi dal listino della Borsa newyorkese. E oggi poche, tra le società europee rampanti, pensano di chiedere la quotazione a Wall Street: eppure sino a ieri questa era una scelta ampiamente praticata, non tanto per raccogliere fondi americani, quanto come segno di prestigio che si traduceva in un tangibile aumento delle quotazioni sulle Borse europee.
Infatti se una compagnia riusciva a farsi quotare a New York veniva considerata molto seria, perché superava l’esame di ammissione previsto dalla più autorevole Borsa mondiale, punto di riferimento per le leggi che riguardavano il collocamento dei prodotti finanziari in uno nei maggior paesi di capitalismo avanzato.
Dopo lo scandalo Enron, però, e dopo altri episodi analoghi avvenuti a cavallo tra la fine degli anni 90 e i primi del 2000, gli americani hanno preso coscienza che le loro leggi di regolamentazione delle corporation quotate, dei loro amministratori e della loro trasparenza lasciavano a desiderare. Così il Congresso degli Stati Uniti ha approvato il Sarbanes Oxley Act.
Ed è entrata in vigore una nuova versione degli international accounting standard, ossia delle regole contabili internazionali. Inoltre, il procuratore generale di New York, Eliot Spitzer, spinto dalle preoccupazioni del pubblico ha indirizzato una attenzione particolare alle operazioni delle compagnie quotate a Wall Street: con particolare interesse per il collocamento al pubblico di obbligazioni a tasso di interesse esageratamente elevato rispetto alle informazioni date sui rischi impliciti per i sottoscrittori di quei prodotti finanziari.
Anche in Europa ci sono nuove regole e maggiore attenzione dei giudici ai mercati finanziari, ma il divario tra le due sponde dell’Atlantico, anziché ridursi, si è ampliato. E ora l’esame di ammissione a Wall Street è diventato molto oneroso e obbligatorio anche per chi era già quotato. Così, con queste nuove norme, diverse compagnie europee (e tra queste alcune anche tra le 100 incluse nell’indice di Borsa del Financial Times) preferiscono ritirarsi.