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WALL STREET
NELLE MANI DEI BIG

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(WSI) – Solo il più ottimista fra i guru di Wall Street si azzarda a scommettere che, entro il 2005, l’indice Dow Jones delle blue chip tornerà al suo massimo di 11.722,98 punti, toccato ormai cinque anni fa, il 14 gennaio 2000. Per tutti gli altri quel traguardo sembra ancora lontano, nonostante il 2005 si presenti come un anno favorevole alla società con maggiore capitalizzazione di Borsa.

Il 2004 infatti si è chiuso con un rally della Borsa dovuto soprattutto alle società medio-piccole: l’indice S&P500 (quello più generale) ha guadagnato il 9% in 12 mesi, mentre il Russell2000 – rappresentativo delle small cap – è risalito del 17% e il Dow Jones Industrial Average – DJIA, composto dalle 30 aziende più grandi e più diffuse fra il pubblico – si è fermato al 3,15%.

Ora tocca a quest’ultimo guidare la ripresa, secondo Jason Trennert , strategist azionario di ISI Group , che l’anno scorso aveva quasi azzeccato in pieno le sue previsioni sul Dow Jones: aveva detto che avrebbe chiuso il 2004 a 10.800, appena 17 punti sopra il livello realmente raggiunto, 10.783. Ma la ripresa sarà piuttosto lenta, in linea con una crescita del 5-6% nominale (al lordo dell’inflazione) del prodotto interno lordo e del 6-7% dei profitti, secondo i calcoli di ISI Group.

«In questo scenario – spiega Trennert – dovrebbero comportarsi meglio le società più grandi, perché hanno molta liquidità a disposizione e la possono usare per guadagnare quote di mercato o per ripagare i debiti o per fusioni e acquisizioni o ancora per aumentare la quota di dividendi pagati agli azionisti. Possono insomma sfruttare le economie di scala per alimentare la propria crescita».

Fra le blue chip Trennert preferisce i titoli industriali – come General Electric e 3M -, perché il loro business è uno dei pochi in cui le aziende hanno il potere di alzare i prezzi; e i farmaceutici, come Pfizer, che sono molto sottovalutati. Quanto al record storico – dice Trennert – forse il Dow Jones tornerà a toccarlo nel 2006, ma nel frattempo bisogna accontentarsi di arrivare quest’anno a quota 11.250, con un rialzo del 4,3%.

Ancor più cauto è Henry Dickson , responsabile delle strategie sulla Borsa americana per Lehman Brothers (anche lui molto accurato nelle previsioni 2004): il suo target è 11.100 punti (»2,9%). «Il mercato sta ancora soffrendo le conseguenze della Bolla – dice Dickson -. Ma poiché nel complesso le aziende siedono su 750 miliardi di dollari di liquidità, gli investitori possono aspettarsi che questo cash sia usato per aumentare i dividendi e, forse, anche i profitti».

Il tema dei dividendi è in effetti uno dei più ricorrenti fra le idee d’investimento per il 2005. Soprattutto gli strategist che si aspettano poco dal rialzo delle quotazioni di Borsa – come Thomas McManus e Richard Bernstein, rispettivamente di Banc of America Securities e Merrill Lynch – raccomandano di puntare sulle società solide, con il miglior rendimento in termini di rapporto fra dividendo e prezzo delle azioni.

Fra le 30 blue chip del Dow Jones, ce ne sono ben dieci che possono fregiarsi del titolo «nobiliare» Dividend Aristocrat (aristocratico del dividendo), inventato dalla società di analisi Standard & Poor’s per designare le aziende che per 25 anni di fila hanno distribuito dividendi sempre in crescita: Altria, Coca-Cola, General Electric, Johnson&Johnson, McDonald’s, Merck, Pfizer, Procter&Gamble, Wal-Mart, 3M. Fra queste dieci, poi, alcune offrono un rendimento che fa concorrenza ai titoli di Stato: il 4,9% Merck (le cui quotazioni sono scese del 30% nel 2004 per la crisi dell’antidolorifico Vioox), il 4,7% Altria (gruppo a cui fa capo il colosso del tabacco Philip Morris), il 2,9% Pfizer (che l’anno scorso ha perso il 24%).

Decisamente più ottimista – dopo aver sbagliato ad essere Orso (negativo) nel 2004 – è Tobias Levkovich di Smith Barney (Citigroup): vede il Dow Jones a quota 11.700 (più 8,5%) per fine 2005 e non è sorpreso dagli scivoloni di inizio anno. «Avevo avvisato i miei clienti che gennaio sarebbe stato un mese difficile, con l’ansia per i risultati dell’ultimo trimestre 2004, le tensioni geopolitiche per le elezioni in Iraq, le paure per il caro-petrolio – sostiene Levkovich -. Ma nel complesso l’anno sarà positivo, grazie al netto miglioramento dei bilanci aziendali». A Levkovich piacciono in particolare le grandi società farmaceutiche, le cui quotazioni sono basse come ai tempi del tentativo di Hillary Clinton di rivoluzionare il sistema sanitario Usa.

L’unico che sogna il record entro 12 mesi è Ed Yardeni , strategist di Oak Associates, che però è tradizionalmente un Toro (ottimista sulla Borsa) e già a fine 2004 vedeva il Dow Jones a quota 11.700. «L’economia globale sta vivendo un boom e la seconda metà degli anni 2000 sarà per gli investitori brillante come lo era stata la seconda metà degli anni Novanta», dichiara Yardeni, che fra le 30 blue chip predilige il colosso bancario Citigroup.

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