Degli indici azionari, solo il Dow Jones riesce a chiudere in rialzo per la quinta settimana consecutiva. La decisione della Federal Reserve di intervenire sul costo del denaro ha suscitato tra gli operatori reazioni contrastate.
Con un taglio di ben 50 punti base, il FOMC, il braccio operativo della banca centrale Usa, ha portato il target sui Fed Fund all’1,25%, il livello piu’ basso dal luglio del 1961.
“Gli ultimi dati economici – si legge nel documento ufficiale della Fed che accompagna la decisione sui tassi – hanno confermato come il maggiore livello di incertezza, in parte attribuibile agli aumentati rischi geopolitici, stia attualmente frenando la spesa, la produzione e l’occupazione”. La riduzione del costo del denaro “dovrebbe permettere all’economia di superare l’attuale fase di debolezza”.
Il FOMC ha inoltre portato il bias (outlook) da ‘negative’ a ‘neutral’: per il futuro prossimo, quindi, non ci saranno nuovi interventi sui tassi, considerando che i rischi economici sono bilanciati tra “crescita lenta e inflazione”.
La mossa di Alan Greenspan, il presidente della Fed, ha colto di sorpresa il mercato, che si aspettava una riduzione di soli 25 punti base. Evidentemente “la Fed e’ davvero preoccupata per la ripresa economica, considerato che ora i margini per ulteriori tagli sono molto limitati”, ha commentato Peter Hooper, chief US economist di Deutsche Bank.
Dopo un andamento altalenante, il Dow Jones e’ riuscito a chiudere la settimana con un rialzo dello 0,23% (19 punti), portandosi a quota 8.537,13. Dall’inizio dell’anno, l’indice industriale ha ceduto 1.484 punti (-14%), mentre rispetto allo stesso periodo del 2001 il calo e’ di 1.070 punti (-11%).
Con una perdita di 1 solo punto (-0,1%), il Nasdaq ha chiuso la settimana a quota 1.359,29. Dall’inizio del 2002, l’indice hi-tech ha ceduto 591 punti (-30%), mentre su base annua il calo e’ di 469 punti (-25%).
Rispetto a venerdi’ scorso l’S&P 500 e’ arretrato di 6 punti (-0,6%) e si e’ attestato a quota 894,74. Dall’inizio dell’anno l’indice ha perso 253 punti (-22%). La differenza rispetto allo stesso periodo del 2001 e’ di 225 punti (-20%).
Performance settimanale dei listini americani |
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Indici | Valori al 8/11/2002 | Variazioni ultima settimana |
Variazioni da inizio anno | Variazioni ultimi 12 mesi |
DJIA | 8.537,13 | +19,49 (+0,23%) | -1.484,4 (-14,81%) | -1.070,87 (-11,15%) |
S&P500 | 894,74 | -6,22 (-0,69%) | -253,34 (-22,07%) | -225,57 (-20,13%) |
Nasdaq | 1.359,28 | -1,42 (-0,10%) | -591,12 (-30,31%) | -469,2 (-25,66%) |
Fonte dati: Ufficio Studi WallStreetItalia |
La decisione della Federal Reserve, definita ”magistrale” da alcuni osservatori, solleva non pochi interrogativi.
Se da un lato la misura adottata dovrebbe avere un effetto propulsivo sul sistema economico, dall’altro potrebbe essere il sintomo che “l’economia americana e’ cosi’ debole che Greenspan si e’ visto costretto ad utilizzare le poche munizioni che gli sono rimaste”, ha dichiarato Sung Won Sohn, chief economist di Wells Fargo.
Per Stephen Roach, guru di Morgan Stanley, la decisione di portare il bias a ‘neutral’ “e’ pura propaganda”. “Sarebbe errato – sottolinea – pensare che la mossa della Fed dia il via alla ripresa ed elimini il rischio di deflazione”.
Hanno contribuito a muovere il mercato la vittoria del partito repubblicano (GOP) alle elezioni di meta’ mandato e l’approvazione da parte dell’Onu alla risoluzione americana su una linea dura nei confronti dell’Iraq.
IL MERCATO AZIONARIO
Secondo gli esperti, a beneficiare maggiormente dell’esito del voto saranno le societa’ farmaceutiche, tra le principali finanziatrici della campagna elettorale repubblicana: l’eventualita’ di controlli severi sui prezzi dei farmaci da parte delle autorita’ governative diventa infatti piuttosto remota. L’indice DRG ha portato a casa il 5%.
Potranno trarre vantaggio dall’attuale maggioranza parlamentare l’industria energetica, attraverso gli incentivi fiscali previsti, e quella automobilistica, meno appesantita dalle norme sull’inquinamento.
Alcuni rumor secondo cui il colosso finanziario J.P. Morgan (JPM, Nyse) avrebbe sostenuto pesanti perdite attraverso operazioni con strumenti derivati sono costati al titolo piu’ del 5%. L’indice BIX, su cui hanno pesato anche i ribassi di Citigroup (C, Nyse) e American Express (AXP, Nyse), ha ceduto quasi il 6%.
Bene invece gli assicurativi (DJ_INS, +1,5%), dopo i bilanci trimestrali migliori delle stime di MetLife (MET, Nyse) e Prudential (PRU, Nyse).
Al Dow spicca il rialzo messo a segno da Boeing (BA, Nyse, +10%): il colosso aerospaziale e della difesa, secondo quanto dichiarato da un dirigente, sarebbe prossimo a firmare un contratto pluriennale con la Cina per un valore di $165 miliardi. Male invece il n.1 del fast food McDonald’s (MCD, Nyse -2%), che ha lanciato un warning sugli utili del 2002.
La parziale conclusione del caso Antitrust, sostanzialmente favorevole a Microsoft (MSFT, Nasdaq, +3%), ha consentito all’indice del comparto software (GSO) di realizzare solo un lieve guadagno (0,7%). Alla decisione della corte federale e’ seguito l’upgrade sulla situazione creditizia del gruppo da parte dell’agenzia Standard & Poor’s.
Cisco Systems (CSCO, Nasdaq) e’ riuscita a portare a casa l’8% nonostante abbia ridimensionato le aspettative sul trimestre in corso. Le dichiarazioni poco confortanti dell’a.d. John Chambers hanno tuttavia pesato sul comparto networking, il cui indice di riferimento NWX e’ arretrato del 3%.
Una serie di giudizi negativi, seguiti ai dati sconfortanti pubblicati dalla Semiconductor Industry Association (SIA), ha colpito il settore chip. Il SOX ha perso il 4%. Tiene Intel (INTC, Nasdaq), sostenuta da una nota favorevole di UBS Warburg.
Per quanto riguarda il settore Internet, Prudential Securities ha giudicato eccessivi i rialzi messi a segno nell’ultimo mese da Yahoo! (YHOO, Nasdaq) e ne ha abbassato il rating da “buy” a “hold”. Il downgrade, seguito da quelli di altre societa’ di analisi, ha azzerato i guadagni che il titolo aveva accumulato a inizio settimana, portando l’indice di riferimento GIN in sostanziale pareggio.
I DATI MACROECONOMICI PUBBLICATI IN SETTIMANA
- Ordini alle fabbriche. Nel mese di settembre sono stati di $318,06 miliardi, in calo del 2,3% rispetto al mese precedente. Il dato e’ comunque migliore delle previsioni.
- ISM servizi. Il comparto e’ cresciuto a ottobre per il nono mese consecutivo. L’indice si e’ attestato a 53,1 punti, in calo rispetto ai 53,9 di settembre, ma al di sopra dell’importante soglia dei 50 punti, linea di demarcazione tra un mercato in espansione e uno in contrazione.
- Produttivita’. Il dato preliminare del terzo trimestre 2002 ha registrato una crescita del 4%, contro il 4,2% atteso. Nel trimenstre precedente la produttivita’ Usa, misurata dal rapporto tra la produzione e le ore di lavoro, era cresciuta dell’1,7%.
- Sussidi di disoccupazione. Nella settimana conclusasi il 2 novembre, le nuove richieste sono scese di 20.000 unita’, a quota 390.000. Il dato e’ ritornato quindi al di sotto della soglia delle 400.000 unita’, che separa un mercato del lavoro in recessione da uno in espansione.
IL MERCATO DEI BOND
La settimana e’ stata contrastata per i titoli di Stato. Nel tardo pomeriggio di venerdi’, il rendimento sui bond a 5 anni e’ passato al 2,86% contro il 2,83% della scorsa settimana. Il rendimento sul Treasury a 10 anni, benchmark della categoria, si e’ attestato al 3,84%, in calo rispetto al 3,97% di venerdi’ scorso.
Il fatto che i titoli a 5 e 10 anni abbiano avuto performance opposte e’ un segnale dell’appiattimento della curva dei rendimenti: il mercato in questo momento sta scontando uno scenario di bassa inflazione e crescita lenta.
La decisione della Federal Reserve di tagliare i tassi di mezzo punto percentuale ha indotto molti operatori a ritenere che l’economia USA sia ancora vulnerabile e che le possibilita’ di deflazione siano concrete.
L’attuale livello del costo del denaro, inoltre, offre pochissimi margini per poter intervenire nuovamente sui tassi. “Gli operatori ritengono che, almeno per il prossimo futuro, non ci saranno nuovi interventi”, ha affermato James Caron, fixed income strategyst di Merrill Lynch.
Da sottolineare che questa settimana il Tesoro ha venduto titoli di Stato per $40 miliardi.
- Tasso sui Treasury a 5 anni (FVX – CBOE)
- Tasso sui Treasury a 10 anni (TNX – CBOE)
I bassi tassi di interesse hanno spinto molte aziende a ricorrere al prestito obbligazionario. Da segnalare l’emissione di bond per $2 miliardi da parte di Freddie Mac, seconda societa’ americana per acquisto e garanzia di mutui ipotecari, e i $3 miliardi emessi complessivamente da Goldman Sachs (GS, Nyse) e Pepsi Bottling (PBG, Nyse).
IL MERCATO VALUTARIO
L’intervento della Fed ha avuto un impatto negativo sulla quotazione del dollaro. Nel tardo pomeriggio di venerdi’, sulla piazza di New York il biglietto verde veniva scambiato a $1,0130 per 1 euro, contro i $0,9768 della scorsa settimana. Si tratta del livello piu’ alto raggiunto dalla moneta europea dal luglio scorso.
Il fatto che la banca centrale europea abbia deciso di lasciare invariato al 3,25% il costo del denaro nell’Unione ha ulteriormente ampliato lo spread sui tassi di interesse tra Europa e USA.
I maggiori rendimenti offerti hanno avuto l’effetto di attrarre capitali verso le attivita’ denominate in euro, indebolendo di conseguenza la moneta americana.
Il dollaro ha anche risentito delle crescenti preoccupazioni sulle prospettive dell’economia USA. Diversi trader ora individuano il prossimo target dell’euro a quota $1,021: qualora dovesse sforare anche questa soglia, la moneta del Vecchio Continente tornerebbe alle quotazioni del gennaio 2000.
Molti economisti sono tuttavia scettici sulla sostenibilita’ dell’attuale rally dell’euro. Troppo spesso, infatti, i guadagni della moneta unica si sono rivelati transitori.
Per Tony Norfield, responsabile della divisione currency research di ABN Amro, il calo del dollaro non e’ pienamente giustificato, considerando che la performance settimanale delle borse europee e’ stata ben peggiore di quella USA.
CONCLUSIONI
La decisione unanime del FOMC di abbassare il costo del denaro sancisce definitivamente l’esistenza di un pericolo di “double-dip recession” e deflazione.
In questo senso, aver allentato i freni al credito e’ stata una mossa, piu’ che opportuna, necessaria. La manovra monetaria, tuttavia, solleva anche alcune preoccupazioni.
Facilitando ulteriormente l’accesso al credito, la mossa della Fed aggrava il problema relativo all’enorme debito accumulato dalle famiglie e dalle imprese americane. Il pericolo che il settore immobiliare dia luogo alla prossima bolla speculativa e che l’eccesso di capacita’ produttiva si esasperi sembra essere aumentato.
In realta’, la Federal Reserve affrontava un dilemma: da un lato il rallentamento economico globale suggeriva l’opportunita’ di un’espansione monetaria; dall’altro la presenza di squilibri strutturali indicava che all’economia USA servirebbe un periodo di decantazione.
L’esperienza giapponese, tuttavia, dimostra che scongiurare uno scenario deflazionistico e’ una priorita’ inderogabile, data l’enorme difficolta’ che le banche centrali incontrano per farvi fronte.
La decisione di Greenspan, percio’, sembra andare nella direzione giusta.