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VUOLE SFORARE I CONTI? SI TROVI UN ALTRO MINISTRO

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“Se vogliono forzare sull’Europa, violando il Patto di stabilità, io me ne vado. Si cerchino un altro ministro. Io non voglio mandare in malora il Paese per distribuire una mancia”. È sera tardi quando il ministro dell’Economia, Domenico Siniscalco, prima di andare a Palazzo Chigi per un vertice con Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, ripensa con i suoi più stretti collaboratori al mercoledì nero della Casa delle libertà.

Lo fa con il suo stile pacato, lineare, piemontese. Lo stesso che il giorno prima aveva usato alla Camera dei deputati per dire che la riforma fiscale non era ancora pronta. Ma lo stile non può negare la drammaticità della situazione: questa volta il ministro dell’Economia non si farà dimissionare (come è capitato a Giulio Tremonti), se ne andrà lui. Senza sbattere la porta, però. Difendendo la sua reputazione. “È l’unica cosa che ho e non intendo certo rinunciarci”, dice rivelando che quello di ieri non è stata la peggiore giornata degli ultimi tempi: “Ne ho passate davvero di peggiori, con pressioni subdole. No, oggi (ieri per chi legge, ndr) non è stato così”.

È uno scontro asprissimo che racconta il declino di una coalizione, quello al quale assiste da tecnico, “usato” dalla politica per un’operazione ad altissimo rischio. “Sono curioso di vedere come andrà a finire”, ammette sottovoce pensando a quel Silvio Berlusconi che via via si sta bruciando tutti i ponti dietro le spalle. Che pensa di riaccendere l’incendio delle pensioni o di rinnovare al ribasso i contratti nel pubblico impiego. Lui – l’economista di Torino – una strada possibile, per quanto impervia, gliela aveva indicata: un taglio delle tasse in due anni partendo dalle aziende, con qualche cosa anche per le famiglie a basso reddito.

Di più non si può perché i conti vanno male e perché l’Europa è un vincolo da rispettare. Il premier sembrava convinto poi – con l’appoggio rumoroso di Forza Italia – ha riaperto il capitolo chiedendo la riduzione delle aliquote Irpef fin dal 2005. Perché Berlusconi pensa che ci sia una scorciatoia e che basti violare il Patto europeo. Quello che Siniscalco considera un baluardo e che la Commissione di Bruxelles non intende affatto ammorbidire proprio nei confronti di quei Paesi, come l’Italia, che continuano ad avere un debito stratosferico.

Ragiona quasi da ex ministro, distinguendo se stesso da loro, i politici: “A casa mia, non so se anche a casa loro, i trattati europei hanno un valore pari a quello della Costituzione. Berlusconi è orientato a sforare il 3 per cento? Non so se è così – rispondeva ad un’obiezione di uno dei suoi tecnici – ma sia chiaro: in questo caso io gli dirò di scegliersi un altro ministro”.

Il rapporto con Berlusconi e con gli altri leader della coalizione, è stato impostato da Siniscalco all’insegna della flessibilità e della collaborazione.

“Io – ripeteva anche ieri – non ho difficoltà ad accettare l’idea di arrivare a una riduzione fiscale di 6 miliardi di euro. Il problema è sempre lo stesso: mi devono dire qual è la copertura. Non posso nascondervi che certe coperture che mi hanno proposto fanno più ridere che piangere. Insomma, si può fare tutto purché il taglio sia coperto. Voglio dire “coperto, coperto”. Non “mezzo coperto”. Ognuno ha la sua linea di decenza. Se insistono si devono cercare un altro ministro”. Anche perché quello in carica non riaprirà nemmeno la partita pensioni ritornata da ieri in primo piano.

Su suggerimento del suo consigliere economico, Renato Brunetta, è stato Berlusconi a riparlare di blocco delle finestre di anzianità. “Ma non si può fare”, taglia corto Siniscalco. “Urta – spiega – contro il primo articolo della riforma. I diritti acquisiti non si possono toccare”. Ma poi – questa volta ragionano sempre a Via XX settembre – chi lo dirà alla Lega che ha accettato la riforma previdenziale solo perché salvava le pensioni di anzianità, concentrate nelle regioni del Nord, fino al 2008? È un fatto, tuttavia, che i tecnici dell’Economia si sono rimessi a fare i conti sui possibili effetti del blocco o della riduzione delle finestre per le pensioni di anzianità. Li avevano già fatti prima della presentazione del Dpef, il Documento di programmazione economica e finanziaria.

E sempre Brunetta ha sfidato pubblicamente Siniscalco sui contratti pubblici. Se non c’è la copertura per il taglio delle tasse – è l’opinione dell’economista, europarlamentare di Forza Italia – non ci possono essere nemmeno le risorse per i contratti degli impiegati pubblici il cui potere d’acquisto è ampiamente salvaguardato. Tesi che non convince né Siniscalco né i tecnici di Via XX settembre.

Per i contratti dei ministeriali la Finanziaria prevede un incremento del 3,7 per cento, i sindacati chiedono l’8 per cento, il governo sa di poter arrivare fino al 5 per cento e che su questa linea l’accordo con Cgil, Cisl e Uil è possibile. Poi – aggiungono all’Economia – se qualcuno pensa di ingaggiare una battaglia sul pubblico impiego lo faccia pure. In ogni caso è bene ricordarsi che siamo alla vigilia delle elezioni regionali del Lazio. Gli alleati (Fini e Follini) seguiranno Forza Italia? È chiaro – come ripete per tutta la serata Siniscalco – che da qualunque parte la si prende “la questione è politica”.

Gli attacchi a Siniscalco sulla mancata nomina del suo successore alla direzione del Tesoro sono arrivati dal ministro forzista, Antonio Marzano, e da quello di An, Maurizio Gasparri. Attacchi personali. “Davvero – confidava ieri – non capisco perché lo fanno. Io mi sono dimesso da direttore generale ma non ne ho designato un altro. Non è una questione di giorni, ma si farà”. Lorenzo Bini Smaghi e Salvatore Rebecchini sono in pole position. Comunque Domenico Siniscalco quando sarà davvero ex ministro non tornerà al Tesoro. Per ora, da ministro in carica, si augura che “tutto finisca nel modo migliore per il Paese”.