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(WSI) – Se è difficile trovare la formula «sicura» per fare soldi, almeno è certa e facile da seguire la regola per non perderne troppi: stare fermi, una volta che si è fissata la propria diversificazione di portafoglio. È l’accorato appello ai risparmiatori che investono in fondi, lanciato da due professori di Finanza, l’italiano Andrea Frazzini della University of Chicago e Owen Lamont di Yale.
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Che invitano chi volesse far meglio della Borsa ad andare nella direzione opposta a quella dei fondisti: cioè comprare le azioni che i gestori devono vendere a causa delle richieste di rimborso dei clienti, e vendere allo scoperto (scommettere sul ribasso) quelle che i gestori sono costretti a comprare perché inondati da nuove sottoscrizioni.
«Denaro stupido», così i due professori chiamano i flussi di sottoscrizioni e rimborsi dei fondi nella ricerca (www.econ.yale.edu/~af227/pdf/dumb_money.pdf), dove analizzano i movimenti dei risparmiatori americani e il loro rapporto con i saliscendi della Borsa dal 1980 al 2003.
«Gli investitori individuali hanno un’impressionante abilità di fare la cosa sbagliata – spiega Frazzini da Chicago -. Spostano i loro soldi verso i fondi che avranno cattive performance negli anni successivi e viceversa li tolgono da quelli che poi faranno bene. Corrono verso i fondi che hanno un rendimento passato positivo, perché nei loro portafogli ci sono azioni “calde”, di moda, che sono già salite in Borsa e che, a causa dei nuovi flussi di sottoscrizioni, diventano ancora più sopravvalutate e quindi destinate poi a sgonfiarsi».
Per verificare la loro ipotesi, Frazzini e Lamont confrontano l’andamento in Borsa dei titoli che sono comprati dai fondi «in modo eccessivo» (rispetto al loro peso sul mercato) e quelli che sono iper-venduti. E scoprono che un portafoglio «lungo» (positivo) sulle azioni più gettonate e «corto» (negativo) sulle azioni meno favorite perde lo 0,8% al mese, in media, dopo tre anni di questa strategia ovvero quasi il 30% in 36 mesi.
La buona notizia è che si può guadagnare altrettanto facendo esattamente il contrario. «I flussi dei fondi comuni possono essere letti come segnale “contrario” da un investitore che vuole ottenere alti rendimenti – dice Frazzini -. E sono usati dagli stessi gestori americani per decidere che fare con i loro fondi quando ricevono troppi soldi rispetto alle occasioni di investimento che offre la Borsa: a volte decidono di chiuderli a nuove sottoscrizioni, altre volte tengono i soldi in liquidità, deviando dal mandato di gestione. Ma quest’ultima è una mossa non frequente, perché di fatto i money-manager sono costretti a seguire passivamente le preferenze dei sottoscrittori ed è difficile per loro essere più “intelligenti”dei loro clienti».
L’esempio più eclatante della «stupidità» dei flussi nei fondi viene dalla seconda metà degli anni Novanta: «A posteriori, era chiaro che la strategia giusta era stare investiti nelle azioni value (sottovalutate) – osserva Frazzini -. Ma era l’epoca dell’euforia Internet e i risparmiatori nel solo 1999 versarono 37 miliardi di dollari nei fondi Janus, carichi di titoli tecnologici, mettendo solo 16 miliardi nei fondi Fidelity, molto più diversificati e più grandi (tre volte il patrimonio di Janus). Salvo poi pentirsi poco dopo, liquidando nel 2001 ben 12 miliardi da Janus e investendo 31 miliardi in Fidelity, una riallocazione che è costata loro cara, contribuendo al crac delle azioni high-tech come Cisco».
La lezione? «Evitare frequenti riaggiustamenti del proprio portafoglio di fondi per inseguire rendimenti passati – risponde Frazzini -. È vero che a volte nel breve periodo, per esempio a un mese, cavalcare un fondo brillante può andare bene, ma nel medio-lungo è una strategia che provoca distruzione di ricchezza».
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