Società

VOGLIA DI RIPRESINA

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(WSI) – Una cosa è certa: le Borse sono salite. Ma quanto potrà durare il rialzo? Anche perché per ogni banchiere centrale che annuncia che il peggio è passato (da Bernanke a Trichet a King) i conti in rosso delle aziende raccontano un altro film. Certo, sono trimestrali che fotografano il passato, come i Pil da brivido dell’Eurozona resi pubblici venerdì 15 (in parte compensati dall’indice manifatturiero Usa). Però tra gli imprenditori non è facile trovare chi vede la svolta. Sarà pure una ripresina, quella in atto, ma sul futuro si naviga ancora a vista.

Per fortuna, però, c’è anche chi intravede qualche segnale di ripresa strutturale. Come Marco Fortis, docente all’Università Cattolica di Milano e responsabile direzione studi economici di Edison: «La ripresa è in atto – dice – anche se sarà lenta e faticosa. Per raggiungere i livelli del 2007, antecedenti lo scoppio della crisi subprime, bisognerà forse aspettare il 2011. Ma la buona notizia è che il fondo è stato toccato». Già, e in Italia? Finora il Bel Paese è stato dipinto come più solido: per il sistema bancario e per un «debito aggregato» non eccessivo.

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Prof. Fortis, c’è qualche motivo per essere ottimisti?
Gli indici industriali del mese di marzo sono fortemente negativi, ma non ci devono stupire. Si tratta del punto culminante di una crisi caratterizzata da un forte destoccaggio in tutta la filiera mondiale. Per quanto riguarda il secondo trimestre, invece, le buone notizie arrivano dagli indici di confidenza, diffusi dalla Commissione Europea, e anche dall’indice anticipatorio dell’Ocse relativo al primo trimestre. Il primo indica un rallentamento delle aspettative negative da parte degli operatori e una ripresa della fiducia dei consumatori. Quanto ai dati Ocse, ci dicono che per la maggior parte dei Paesi permane una situazione di strong slowdown. Fanno eccezione quattro nazioni: Italia, Francia, Cina e Regno Unito, che si trovano in una situazione di possible trough, cioè di possibile svolta dal minimo ciclico raggiunto. Per i primi due l’indice anticipatore ha iniziato a crescere da inizio anno, per Cina e Uk a partire da febbraio.

Quali sono i punti forti dell’Italia?
Il basso indebitamento delle famiglie innanzitutto. In Italia è pari al 34% del Pil, negli Usa è pari al 100%. Questo fa sì che il debito aggregato non finanziario italiano (ovvero la somma di quello famigliare, di quello pubblico e delle imprese), malgrado l’elevato debito statale, sia ai livelli di Francia e Germania. Sul fronte bancario, i nostri istituti di credito hanno mostrato una bassa esposizione ai titoli tossici statunitensi, pari al 3% del Pil. Ricordo che l’Olanda e il Belgio avevano un’esposizione del 50-60%. Non stupisce pertanto il caso di banca Fortis. Con questo non voglio dire che le banche italiane non stiano attraversando un periodo di particolare difficoltà, caratterizzato ad esempio da una riduzione delle commissioni sul collocamento di titoli; certo è, però, che in caso di stress test «nazionale» il nostro sistema reggerebbe anche nella peggiore delle ipotesi.

La crisi si è però spostata dalla finanza all’economia reale. Qual è lo stato di salute delle imprese tricolori?
Il tessuto industriale italiano ha resistito meglio alla crisi che in altri Paesi. Basti dire che le aziende hanno utilizzato il 30% delle ore autorizzate di cassa integrazione; inoltre non abbiamo assistito a massicci licenziamenti. Questo perché l’Italia è in gran parte costituita da piccole e medie imprese le quali, da una parte non sono obbligate a rispondere a logiche di breve termine, cui invece sono spesso sottoposte le multinazionali, dall’altra possono contare su di un basso indebitamento e su una gestione di tipo famigliare.

Come in passato, il capitalismo familiare resta un punto di forza?
Certamente. Dietro le imprese spesso c’è una famiglia, poco indebitata, che ha preferito non licenziare e continuare a produrre, pagando di tasca propria i dipendenti, nell’attesa di una ripresa dell’economia. Nei prossimi mesi, a mio avviso, a soffrire saranno le micro-imprese dell’indotto, colpite dalla riduzione delle scorte delle Pmi, loro clienti. In questi mesi le piccole medie imprese non hanno fermato la produzione e si ritrovano con i magazzini pieni. È plausibile quindi pensare a un prossimo destocking, con conseguente calo degli ordini. Il ciclo dei subfornitori è insomma in pericolo.

Quali saranno i comparti che si riprenderanno prima?
Tra i ciclici, la chimica sta dando forti segnali di ripresa, assieme al settore gomme e materie plastiche. La moda per il momento ha tenuto, in un contesto negativo, e il settore ha già subito un ridimensionamento destinato a continuare. Le grandi griffe sono preoccupate, ma la domanda di made in Italy tutto sommato resiste ed è plausibile pensare a una ripresa degli ordini.
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