Società

VIVIAMO ALLA GRANDE? SOPRATTUTTO
IN NERO

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(WSI) – E’ un’Italia con le tasche bucate quella fotografata ieri dalla relazione annuale della Corte dei conti. Un Paese che «da molto tempo, nel complesso e mediamente, sembra vivere al di sopra dei propri mezzi». Un popolo spensierato, «fatta una doverosa eccezione per quella fascia di cittadini che vivono in dignitose ristrettezze e che meritano rispetto e aiuto», cedevole alle «tentazioni del consumismo», che non si fa più scrupolo di fare «pesante ricorso all’indebitamento», pur di togliersi ogni sfizio.

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L’immagine paradossalmente assomiglia un po’ a quella tracciata da Silvio Berlusconi quando, qualche giorno fa, ha esortato gli italiani a non piangersi addosso, ricordando che il nostro Paese ha «un rapporto di macchine pro capite molto alto» e «più telefonini di tutti». Soltanto che il premier ne ha tratto una conclusione diversa: l’Italia sta bene, anzi prospera, ma la sua ricchezza, per il 40%, è sommersa, per questo non è rilevabile attraverso i più classici degli indicatori.

Chi ha ragione? Che i dati spesso appaiano contraddittori e di difficile lettura, del resto, è un fatto: il preoccupante calo del 3,9% delle vendite al dettaglio ad aprile (-3,6% per gli alimenti), che per la prima volta ha coinvolto la grande distribuzione, ieri è apparso compensato dalla rilevazione sulle retribuzioni, che a maggio sarebbero salite più dell’inflazione (+3,1%).

Allora siamo più ricchi o più poveri? Per il segretario generale del Censis, Giuseppe De Rita, non bisogna lasciarsi disorientare: i dati parlano univocamente di un cambiamento profondo delle abitudini degli italiani, una svolta che l’ultimo rapporto sulla situazione sociale del Paese, tracciato dall’istituto, ha assai bene fotografato.

«Vi è stata – si legge nel volume dedicato al 2004 – negli ultimi anni una netta dilatazione delle categorie merceologiche percepite come indispensabili, con la crescente ricerca di prodotti di elevata qualità, con la spasmodica voglia di relazionalità e di emozioni». Questo fenomeno edonistico-consumistico, che sembra dar ragione alla Corte dei Conti, ha provocato fino all’anno scorso una crescita del 9% (a prezzi costanti) della spesa per prodotti come personal computer, cellulari, impianti satellitari e abbonamenti pay-tv, impianti audio hi-fi e Dvd. «Sarebbe fuori luogo – avverte il rapporto – dedurre da questi pochi dati un quadro di benessere diffuso, ma forse non siamo neanche su una china discendente a cui da mesi si è propensi a pensare».

Ora però anche questi consumi, secondo le rilevazioni dell’Istat sul 2005, starebbero subendo una brusca frenata. Stiamo tirando la cinghia? «Non credo – spiega De Rita -: dopo la grande abbuffata di prodotti di consumo, ora siamo meno interessati a comprare il terzo cellulare o l’ennesimo televisore. Gli italiani magari non riempiono più il carrello della spesa, sono più accorti e i soldi preferiscono investirli, mettendoli in sicurezza».

Finita l’epoca della Borsa, nel 2004 gli italiani hanno investito 3 mila miliardi in depositi, titoli di Stato, azioni e polizze (nel ’99 erano 2.500). L’anno scorso poi c’è stata una ripresa dei depositi e dell’acquisto di obbligazioni e titoli pubblici, a fronte di cessioni di strumenti più rischiosi, come azioni e fondi. Ma l’investimento che appare più sicuro è la casa: nel 2004 ci sono state 870 mila compravendite per 132 miliardi di euro. A sorpresa, nei primi cinque mesi dello stesso anno si sono vendute il 36% in più di case vacanze.

«Gli italiani sono cambiati: non vogliono più rischiare – continua De Rita – ecco perché non raccolgono neppure l’appello rivolto loro dal presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, a ripartire, investendo il denaro in nuove attività».

C’è da chiedersi perché tutta questa ricchezza non emerga dalle statistiche. Per scoprirlo, una recente indagine del Censis ha frugato proprio nelle tasche degli italiani scoprendo il dato che spesso viene citato dal premier: il 40% della ricchezza è sommersa. Cresce l’evasione: al Sud ogni cento euro dichiarati al Fisco, ce ne sono altrettanti che vengono tenuti nascosti. E ancora: un terzo del portafoglio (28,7%) degli italiani oggi è liquido. Moneta e depositi ammontano a 822 miliardi.

La spiegazione più facile è anche la più maliziosa: «Siamo diventati un popolo di “m.m.”» scherza De Rita. Dove le due lettere puntate stanno per «me medesimo», cioè quello che scrive sugli assegni chi decide di pagare in nero. Dunque la Corte esagera quando parla di un popolo che vive al di sopra delle proprie possibilità? «Questa frase – dice De Rita – me la ricordo bene: la diceva Rumor nel ’72. Detta oggi mi fa sorridere».

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