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(WSI) – Romano Prodi ieri, nella sua replica per il voto di fiducia a Montecitorio, ha sposato integralmente l’improvvisa gelata venuta il giorno prima da Tommaso Padoa Schioppa, con l’arrischiato paragone tra le condizioni della finanza pubblica italiana attuale e quelle dei primi anni Novanta.
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Visco, a sua volta, ha immediatamente rilanciato sulla necessità di adottare i promessi aumenti di aliquota sulle compravendite azionarie e di ripristinare l’imposta di successione, salvo poi ripiegare precipitosamente su una versione più morbida, al fine di non turbare l’ordine prodiano di evitare esternazioni a titolo personale.
Di fatto, il neo viceministro delle Finanze ha invaso il campo del suo ministro Padoa Schioppa, commentando a ruota libera l’ampiezza dell’extradeficit, a suo giudizio ereditato dal governo precedente, cifrandolo in «oltre il 4,5% del Pil», secondo le valutazioni del proprio centro studi di riferimento, il Nens. Centro che, a questo punto, va considerato il vero e più autorevole interprete degli aggregati e degli andamenti di finanza pubblica, visto che per ora si è solo messa in moto la due diligence chiesta dal ministro a Ragioneria di Stato e dipartimento del Tesoro, nonché il lavoro che dovrebbe essere compiuto dalla commissione di esperti presieduta da Riccardo Faini (e, per sovrammercato, il confronto diretto con il governatore di Bankitalia Mario Draghi, quanto a fabbisogno di cassa generato dai mandati di pagamento controllati da Bankitalia attraverso la rete delle Tesorerie provinciali).
L’inevitabile frutto di tale inopinata scelta di «drammatizzazione» si è manifestato in poche ore, con l’Ocse che si è affrettata a chiedere una manovra aggiuntiva al governo, altrimenti accusato di «voler giocare col fuoco», e le agenzie di rating pronte a diramare alle agenzie i propri commenti sull’accresciuto rischio di downgrading del debito sovrano, se le cose stessero come dice il governo.
La drammatizzazione, secondo le fonti più accreditate, risponde a tre ordini diversi di ragioni. La prima intende stringere il morso intorno alla bocca degli stessi componenti del governo arrischiatisi, nei giorni tra il giuramento e la fiducia parlamentare, in dichiarazioni che implicano nuovi imponenti programmi di spesa. La seconda è diretta Bruxelles: il governo ritiene di aver bisogno di una cornice generale di grande allarme, per impostare al meglio una megatrattativa che comprenda le misure volte a sostenere la crescita che Prodi ha in mente, a cominciare dagli ormai iperannunciati tagli al cuneo fiscale.
Ma c’è un terzo problema, che riguarda per intero struttura e rilevanza delle entrate. Se non si alza la polvere di un grande allarme, l’andamento favorevole delle entrate tributarie renderebbe assai malagevole giustificare la reimpostazione «sistemica» che Visco ha in mente. Reimpostazione consistente in una nuova Dit, nell’abbandono di ogni logica di concordato triennale su base di parziale condono 2003 e 2004, nella difesa integrale dell’Irap (quanto a gettito) di fronte alla Corte di giustizia delle Comunità europee, pronti al massimo a scorporare l’imposta in tre diversi tributi, attenuando unicamente la componente che grava sul costo del lavoro; e, infine, nella reimpostazione generale del prelievo sulle attività e sui negozi finanziari.
Sarà la terza rivoluzione fiscale sistemica in un solo decennio, per il contribuente italiano, con tutte le conseguenze del caso: modificare per l’ennesima volta l’impulso degli incentivi e delle distorsioni, richiede anni – almeno un altro paio – a imprese, operatori e famiglie per introiettarli pienamente nella propria catena comportamentale.
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