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(WSI) –
È una frase di buon senso, quella pronunciata ieri da Walter Veltroni: «Oggi non servono sogni, ma risposte concrete». Se è la falsariga del discorso con cui oggi a Torino accetterà l’investitura del Partito democratico, fa ben sperare. Ma a una condizione: che il prossimo segretario e candidato premier cominci subito a proporre qualche risposta ai problemi che vorrà evocare. Mesi fa, il suo intervento al congresso di scioglimento dei Ds ebbe successo in platea, ma apparteneva ancora al novero delle esercitazioni che fanno sognare: non si proponeva di offrire una visione.
E invece oggi Veltroni dice proprio questo: il discorso di Torino gli servirà per presentare una visione del Paese. In sostanza, un’idea del futuro. Quasi un progetto, se intendiamo bene. È un dato incoraggiante. Sarebbe bello che il Veltroni sognatore uscisse di scena, almeno per un po’, a favore del Veltroni pratico, che non a caso ha scelto di cominciare in una grande città del Nord il suo cammino verso Palazzo Chigi. Senza dimenticare che oggi per lui comincia la campagna elettorale.
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Ma il Nord, come il resto d’Italia, ha bisogno di parole chiare e di un messaggio preciso. Una visione, appunto: che non può essere per sua natura generica ed elusiva. Certo, non serve che il candidato entri nel dettaglio e si esprima su ogni punto dell’agenda politica. D’altra parte, è chiaro che a Veltroni si chiede di dare un’anima al Partito democratico. Un’anima e soprattutto un’identità. Nessuno finora è riuscito a immaginarle e dal sindaco si pretende, proprio per questo, una sorta di miracolo. Un intervento ecumenico sarebbe forse consentito se il Pd avesse già una propria identità definita. Non è questo il caso. D’altra parte, un discorso troppo dettagliato sarebbe considerato «un programma di governo» e farebbe gridare all’imminente golpe anti-Prodi.
Ne deriva che il candidato dovrà restare nel mezzo, destreggiandosi con abilità. Ma non potrà esimersi dall’indicare, sia pure a grandi linee, un disegno riformista per la società italiana. È questo che ci si attende dal Partito democratico: o riuscirà a esprimere una vocazione modernizzatrice del Paese o fallirà la sua ragion d’essere. Quindi Veltroni dovrà rappresentarsi come il riformatore di cui gli italiani hanno bisogno.
Sotto questo profilo il momento non è dei migliori. Ieri, non un esponente della destra, bensì il socialista Villetti ha detto che nel negoziato sulle pensioni «alla voce grossa dei massimalisti si è contrapposta una fin troppo flebile voce dei riformisti». È un punto importante. Veltroni non può limitarsi a guidare l’alleanza della spesa pubblica. Per questo basta la coalizione oggi al governo. La «rottura con il passato» di cui egli stesso ha parlato per essere credibile deve indicare una via diversa. Soprattutto al Nord.
Secondo nodo importante. Il Partito democratico non può rinunciare a una prospettiva maggioritaria, quasi bipartitica. E a un rafforzamento del ruolo dell’esecutivo con nuovi poteri conferiti al presidente del Consiglio. Il futuro premier dovrà avere un piglio alla Tony Blair, ma anche i necessari strumenti di governo. Veltroni, si sa, guarda a quel modello. La sinistra radicale già lo frena. Sarà interessante capire come intende muoversi il futuro leader del Pd. Del resto, sul tavolo c’è un argomento propizio: quel referendum elettorale Guzzetta-Segni che in passato il sindaco di Roma aveva apprezzato. Un segnale a questo riguardo sarebbe già una svolta.
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