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VELTRONI HA APERTO UN DIBATTITO SERIO

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(WSI) – La “lettera aperta” del sindaco di Roma a Romano Prodi costituisce un appello sensato al centrosinistra ad elevare il tasso di visione progettuale e di respiro ideale e culturale della propria proposta. E, per di più, con l’indicazione coraggiosa – il che non guasta mai – a fare ciò senza demonizzazioni dell’avversario. Nel suo scritto vengono affrontati, con cura ed eleganza, numerosi aspetti di un moderno profilo programmatico di centro sinistra. E tuttavia la sensazione è che per Walter più che il programma siano i valori e la visione di fondo la chiave per una prospettiva vincente del centrosinistra. La prova sarebbe la sconfitta di Kerry nelle presidenziali Usa.

Sconfitta dovuta non al fatto che egli “non avesse un programma”, tema su cui, sostiene il sindaco di Roma, Kerry addirittura «era meglio attrezzato», essendo il programma di governo del candidato democratico «concreto, dettagliato ed autorevole». Bush ha vinto, incalza Veltroni, perché ha privilegiato un terreno diverso e che «dovrebbe contraddistinguere ovunque la sinistra nel mondo», quello dei «valori».
Non voglio imbarcarmi in una ennesima disputa sulle ragioni della vittoria conservatrice in America. Mi interessa tuttavia seguire Veltroni sul punto che riguarda il che fare in Italia. Questa idea che la destra Usa ha vinto perché ha privilegiato il piano degli ideali laddove i democratici si sono lasciati incartare, invece, da quello dell’arida concretezza mi pare una forzatura. Che potrebbe condurre alla tesi sbagliata che, per vincere le elezioni in Italia, non serve tanto un programma riformista di cambiamento quanto un messaggio ed una visione radicale, un “agenda morale”.

Non è questo il pensiero di Walter, tuttavia vorrei invitarlo a considerare un diverso approccio per valutare come sono andate le cose negli Stati Uniti. Da alcuni decenni, tranne il periodo di Clinton, la destra Usa vince perché è riuscita a comunicare un programma di governo laddove i Democratici sono percepiti come attardati ad una visione superata: la ripetizione retorica e, oramai inefficace e inattuale, degli obiettivi e dei valori degli anni 60 e del mito della Great Society. La destra è riuscita a contrapporre una alternativa che, per quanto individualista e poco inclusiva possa apparire, non solo è percepita al passo con i tempi ma, ciò che più conta, radicata su una ricetta semplice e concreta di politica economica e sociale: quella del taglio fiscale per dare più opportunità ai singoli e della riduzione della spesa pubblica per creare più spazi all’iniziativa privata.

E’ ovvio che non ci piace un programma declinato sulla base dei presupposti del credo liberista. Ma intanto le cose stanno così. La verità è che il messaggio liberista sulle tasse e sulla riduzione del peso dello Stato nell’economia è apparso corrispondere ad aspettative diffuse e ha conquistato consensi oltre il tradizionale perimetro sociale della destra. E, in primo luogo, è apparso più innovativo nelle conseguenze e nelle politiche concrete di quello dei suoi avversari.

Se le cose stanno così, che fare? Anzitutto la sinistra deve riuscire a fare i conti sul serio e non per finta con la forza e la portata del programma neoconservatore. Non per farlo proprio, ovviamente, ma per individuare e immaginare risposte di sinistra ai dilemmi ed alla aspettative da cui esso trae ragioni e motivazioni. La sinistra ha ritenuto, per almeno un decennio, che fosse facile disfarsi delle premesse e delle conseguenze della rivoluzione liberista degli anni 80. Le elezioni Usa hanno confermato, invece, la portata delle trasformazioni indotte da tale cambiamento. Che ha scompaginato il perimetro sociale e identitario della vecchia sinistra e ha prodotto domande e temi cui non possiamo continuare a rispondere con la ripetizione, seppure aggiornata, della tradizionali piattaforme della sinistra e del centrosinistra europei. Può non piacere ma questa è la verità.

Da questo punto di vista mi chiedo se abbia un gran senso, ad esempio, indicare come riferimenti ideali a quella che dovrebbe essere la sinistra vincente del 2000 le icone, ormai lontane e sbiadite degli anni della Great Society. Non è lì che ha perso Kerry? Davvero pensiamo che a dare «un cuore ed un’anima» alla sinistra del nuovo secolo sia sufficiente il richiamo a Roosevelt, Brandt e Olaf Palme? E perché mai non all’unico esempio di sinistra vincente di fine secolo: il newlabour di Tony Blair cui Veltroni del resto ha sempre guardato con interesse? Il mio timore, insomma, è che il richiamo ai valori possa muoversi su un terreno molto tradizionale: quello di una sinistra che si intestardisce a cercare le proprie ricette nell’armamentario degli anni cinquanta e sessanta. Veltroni non la pensa così ma questo è un nodo con cui fare i conti. E’ un problema che riguarda la cultura politica di tutti noi.

La stessa selezione dei temi che siamo portati ad indicare come priorità dell’agenda di governo testimonia che, più che l’innovazione, la nostra preoccupazione è quella di riaggregare, magari con un linguaggio aggiornato, le tradizionali issues della sinistra. Sarebbero tanti gli esempi. Se si parla di «nuovo Welfare» (da quanto tempo lo diciamo?) non possiamo tacere sul tema fiscale o sull’indicazione concreta di come e dove ci impegnamo a riformare il vecchio Welfare; se parliamo di «noi e l’Europa» (come fu già nelle elezioni del 94 e nel 2001) non possiamo evitare ogni considerazione circa i temi relativi alla collocazione internazionale dell’Italia nel contesto delle straordinarie novità intervenute negli ultimi quattro anni; se sosteniamo che il tema centrale della proposta sociale del centrosinistra deve essere quello della «crescita» non possiamo indicare come unica riforma quella del «reddito minimo di inserimento» (come se questa fosse un’idea che mobilita e attrae veramente i giovani); se indichiamo la centralità dell’energia e dell’ambiente, la nostra strategia non può esaurirsi «nelle energie pulite e rinnovabili» (con l’aggiunta, naturalmente, dell’idrogeno che è il ripiego di un vecchio ambientalismo).

Intendiamoci, nelle considerazioni di Veltroni c’è un impianto di ragionamento per tanti versi condivisibile. E tuttavia io avverto che occorrono delle novità. Quello che tutti noi diciamo oggi, lo abbiamo già detto in precedenza: quattro anni fa, otto anni fa e anche prima. Una priorità c’è. La sicurezza. Veltroni la declina con intelligenza. E tuttavia ho la sensazione che se non si affrontano i temi delle politiche per contrastare terrorismo e criminalità, su questo terreno non si va lontano. Infine ho timore che si mettano troppe cose sul groppone delle “politiche neoliberiste”. Sono esse le responsabili «del deterioramento del tessuto sociale, dell’esaltazione del primato dell’individuo… della solitudine del cittadino, dell’aumento delle paure, del senso di abbandono a se stessi…della ricerca della propria salvezza senza pensare a quella degli altri» e così via. Negli anni ’60 tutto ciò era imputabile al capitalismo e all’alienazione da esso indotta. Ora si è sostituito con il termine “politiche liberiste”.

So bene che la modernizzazione conservatrice e neoliberista si presenta con un carico di costi sociali insopportabile per modello civile che si è affermato in Europa. Ma Veltroni converrà, ne sono certo, che chiudersi nella difesa del passato esporrebbe il centro sinistra alla disfatta. Così come ho la convinzione che gli uomini e le donne del nostro tempo non riescano più ad avvertire la validità e la ragionevolezza di un messaggio di sinistra che continui ad identificare individualismo ed egoismo. Su questo terreno la sinistra rischierebbe di essere percepita come ostile ad aspettative di promozione individuale che oramai sono il tratto decisivo della domanda politica nelle società democratiche dell’Occidente. In conclusione, quello di cui c’è bisogno è una coraggiosa innovazione sui programmi da mettere a fondamento dell’aggregazione dei riformisti italiani. Se si riuscirà a costruirla! Veltroni ci invita a riflettere su questi nodi. Di ciò gli siamo grati.

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