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(WSI) –
Si chiedeva a Veltroni la novità, il senso di una svolta. Il discorso di Torino ha rispettato le attese. Il sindaco di Roma è riuscito ad abbozzare, quanto meno, l’identità del Partito democratico. Che da ieri sera non è più solo l’incontro fra le nomenklature post-comunista e della sinistra cattolica. È qualcosa di più, nel segno di un uomo che riconosce come la crisi della sinistra europea ponga problemi non risolvibili con le vecchie formule.
C’è un riformismo che si manifesta con l’impronta inedita di un Sarkozy, c’è un generale rimescolamento di idee e di soluzioni in cui è difficile riconoscere cosa è di destra e cosa è di sinistra. Molte ricette sono valide perché idonee a migliorare la qualità della vita, dando risposte alle necessità dei cittadini.
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Si temeva la vaghezza veltroniana, invece abbiamo avuto un leader calato nella parte, pragmatico come si conviene. Ha saputo trovare i toni adatti a una platea nordista che vuole sicurezza e soffoca sotto il peso dell’imposizione fiscale. Qui Veltroni poteva eludere, invece ha riconosciuto con chiarezza che le tasse devono essere abbassate. È una presa di distanze dal governo di Prodi. Al quale sono stati riservati molti elogi: troppi per non destare qualche sospetto.
Anche sull’Alta velocità Veltroni ha detto qualcosa di nuovo, nel senso che si è pronunciato per il sì. Scelta che certo non può piacere alla sinistra antagonista, peraltro favorevole al compromesso che si sta delineando. Quel che colpisce è l’insistenza sulla riforma delle istituzioni. Si conosceva il favore di Veltroni per il premierato, ma ieri il tema è stato sottolineato con forza, come parte della proposta complessiva del Partito democratico. La volontà è di costruire una Seconda (forse ormai una Terza) Repubblica fondata su un governo che decide e senza strozzature nel percorso esecutivo-Parlamento. Sulla carta dovrebbe aprirsi un fossato con la sinistra radicale, ma non è detto che accada subito.
In definitiva, è stato il discorso di un candidato premier più che di un leader partitico. Difficile credere che con queste premesse la vita del governo in carica possa continuare ancora a lungo. Il Partito democratico, per svilupparsi, ha bisogno di sottrarsi alle estenuanti catene che frenano Prodi. Ha bisogno di lanciare il suo «patto fra le generazioni», di alimentare una speranza. L’inizio dell’era Veltroni potrà coesistere solo per poco con la coda dell’era Prodi. E nel futuro non è difficile immaginare le elezioni anticipate.
Del resto, il sindaco di Roma ieri ha offerto un saggio del suo progetto per l’Italia. Che significa, in buona sostanza, mano tesa ai ceti medi e produttivi. Veltroni ha piantato la bandiera del Pd al centro della scena politica. Ha posto le basi per recuperare il consenso perduto dalla coalizione prodiana proprio tra i ceti medi. Cioè al centro. Ci sarà tempo per valutare la credibilità di questo piano. Ma non c’è dubbio che si tratti di un disegno politico dai contorni ben precisi. Un’ambiziosa campagna elettorale è cominciata ieri al Lingotto. Berlusconi farebbe bene a preoccuparsene.
Viceversa il capo del centro-destra liquida il tutto con una sola parola: «banalità». E sbaglia. Veltroni ha messo in moto un meccanismo. Per la prima volta il centro-sinistra esce dall’angolo e tenta di passare all’offensiva. Se, prima o poi, Prodi dovesse uscire di scena, l’operazione sarebbe compiuta. A destra farebbero meglio a fare i conti con la novità e attrezzarsi di conseguenza.
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