Il Prodotto Interno Lordo Usa – un dato che rappresenta il valore totale di tutti i beni e servizi prodotti e venduti nel Paese – nel primo trimestre del 2010 ha registrato un’espansione pari a +2.7% (tasso annualizzato).
Lo ha comunicato il Dipartimento del Commercio Usa. Si tratta della lettura definitiva. Il precedente dato era attestato a +3% e le stime erano per un risultato invariato rispetto alla versione precedente.
La revisione al ribasso e’ dovuta principalmente all’ampliamento del gap della bilancia commerciale e agli inferiori livelli registrati nelle componenti della spesa dei consumatori e degli investimenti delle aziende.
In tempi normali, una crescita del Pil pari al 2.7% sarebbe da considerare positiva, ma il Paese esce dalla peggiore recessione dagli anni ’30. Di conseguenza e’ necessario che la ripresa risulti piu’ forte (2 o 3 volte i livelli attuali) per notare effetti benefici, come hanno fatto sapere gli analisti.
Dalle cifre riviste emerge un’economica sempre piu’ dipendente nelle attivita’ di livellamento delle scorte e sempre meno guidata dalla domanda proviente dai consumatori e dalle aziende. Tutto cio’ prima che la crisi del debito europeo si intensificasse.
La disoccupazione, unita alle condizioni instabili dei mercati finanziari e alla mancanza di un’inflazione, sono tra le principali ragioni per cui la Federal Reserve si e’ impegnata a mantenere invariati i tassi di interesse su livelli vicini allo zero.
“Stiamo riscontrando piu’ di un segnale che indica che il ritmo della ripresa si e’ in qualche modo moderato”, ha osservato Scott Brown, chief economist di Raymond James & Associates Inc, interpellato da Bloomberg prima che il report venisse pubblicato.
“Con ogni probabilita’ quello che vedremo ora e’ un aumento del rischio al ribasso sul breve termine. Se un numero sufficiente di aziende ci crede, smetteranno di assumere e fare investimenti di capitale”.