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USA: NON CONVINCE L’IPOTESI STAGFLAZIONE

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*Michele Pezzinga e’ lo strategist di CentroSim. I suoi commenti non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

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(WSI) – Poche le sorprese dall’incontro della FED di ieri sera: come unanimemente
previsto i tassi sono stati portati al 3% e sono visti salire ancora con
gradualità (nel gergo del solito comunicato che accompagna l’intervento, è
rimasta la frase chiave secondo cui “la politica monetaria accomodante
potrà essere rimossa ad un passo probabilmente misurato”).

Le novità sono
semmai venute da due diversi giudizi su inflazione e crescita, la prima
vista in termini più minacciosi (“le pressioni sull’inflazione hanno
accelerato il passo negli ultimi mesi e il pricing power delle aziende è
più evidente”), la seconda percepita invece in rallentamento (“I dati più
recenti suggeriscono che il solido ritmo di crescita della spesa è
rallentato, in parte a causa dei rincari dei prezzi dell’energia”).

L’effetto netto di questi due messaggi, dal punto di vista dei mercati, è
stato comunque nullo: la comunità finanziaria ne ha infatti in prevalenza
tratto la conclusione che le tensioni sui prezzi potrebbero venir meno con
la stabilizzazione dei corsi del greggio ed una più modesta espansione
dell’economia, come difatti sta già accadendo.

In ogni caso, i Treasuries
hanno messo a segno un altro piccolo progresso (il rendimento sul
decennale è ora sceso intorno al 4,18%), mentre i Bundes hanno toccato
stamani nuovi massimi storici, con rendimenti a dieci anni scesi al 3,38%;
sostanzialmente ferme invece le Borse, da Wall Street al Giappone, frenate
dai timori su una crescita, anche degli utili, che sta emergendo più
debole di quanto mediamente anticipato dal consenso fino a qualche
settimana fa.

Finora dalle blue chips USA le sorprese negative, in termini
di utili attesi per il prossimo trimestre, sono state quasi doppie
rispetto a quelle positive; ed è su queste basi che ieri JP Morgan,
giudicando ormai maturo il ciclo degli utili aziendali, con una possibile
crescita zero per il 2006, ha abbassato dal 70 al 55% l’esposizione
suggerita sul mercato azionario globale.

Gli investitori, come d’altra
parte la stessa FED, non sembrano comunque disposti a dare molto credito
all’ipotesi di stagflazione; da qui la convinzione che altri due o tre
aumenti dei tassi siano ancora da mettere in conto (se lo scenario attuale
dovesse trovare conferma nella seconda metà dell’anno, noi continuiamo a
credere che la FED possa esaurire la sua manovra restrittiva anche prima
di raggiungere la soglia del 4%), ma che le pressioni sui prezzi
rimarranno sotto controllo e la parte lunga delle curve non meriti un
significativo spread di rendimento sui futuri tassi a breve.

Oggi in
programma l’incontro sui tassi della BCE (13:45), da cui non dovrebbero
comunque emergere novità di sorta (salvo la conferma che la ripresa
dell’area stenta a concretizzarsi), e gli indici dei direttori degli
acquisti, in Europa (10:00) e negli USA (16:00), relativamente al comparto
servizi: anche in questo caso, previste letture in calo rispetto ai
rilevamenti precedenti, ma in misura più contenuta rispetto al settore
manifatturiero. Su questo fronte, l’attenzione è ormai focalizzata sui
dati di occupazione USA di venerdì prossimo.

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