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USA: LA GUERRA FARA’ SALIRE IL PREMIO A RISCHIO

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Dopo che l’Iraq invase il Kuwait nell’agosto 1990, la fiducia dei consumatori crollo’ vistosamente e il prezzo del petrolio sali’. Come oggi, l’ecomnomia americana stava soffrendo per la lenta crescita e il calo degli investimenti, anche se i tassi di interesse erano piu’ di due volte quelli attuali e il consumo di petrolio era inferiore, se misurato in percentuale del PIL.
La crisi del Golfo contribui’ a spingere in recessione un’economia gia’ debole.

L’instabilita’ generata dai conflitti puo’ essere misurata attraverso il “premio al rischio”, cioe’ la compensazione di rendimento che gli investitori richiedono per aver messo i loro risparmi in titoli azionari, notoriamente rischiosi, invece che in “sicuri” titoli di stato. Il premio al rischio e’ quindi una misura delle aspettative di rendimento che gli investitori ripongono sul settore azionario: se la guerra rende piu’ incerti i profitti delle aziende il premio al rischio salira’, facendo scendere i prezzi delle azioni.

Morgan Stanley ha recentemente calcolato il premio al rischio prima e durante la seconda guerra mondiale e ha scoperto che era praticamente raddoppiato, arrivando al 9% tra il 1937 e il giugno 1940; ma poi scese fino alla fine del conflitto.

Abbiamo assistito a simili seppur piu’ contenute
variazioni del premio a rischio durante la crisi di Cuba, nell’embargo petrolifero del 1973 e nella guerra del golfo.

La spesa governativa, d’altra parte, si impenna in tempi di guerra e un massiccio incremento nella sicurezza degli aeroporti e nella difesa potrebbe provocare lo stesso effetto. Bisogna considerare pero’ che ai primi bombardamenti seguiranno la mobilitazione delle armi tradizionali e delle navi. Un conflitto anti-terroristico potrebbe provocare molti rischi dei conflitti passati ma nessuno effetto positivo.

Pensare alle prospettive di investimento in un uno dei momenti piu’ tragici della storia umana da’ all’economia una connotazione cinica.
Investitori ed economisti cercano di dare una interpretazione a questa tragedia provocata dall’uomo e di trovare risposte negli eventi passati.

Tragedie come questa distruggono i capisaldi dell’economia. La perdita di vite umane e di capitale riduce la quantita’ di beni e servizi prodotti e consumati. Meno prevedibile e’invece l’effetto sugli investimenti e le modifiche della spesa del consumatore nel lungo periodo.

In termini di vite e beni immobili persi, gli attacchi terroristici hanno eguagliato alcuni disastri naturali del passato.
Il terremoto in California nel 1994 provoco’ 50 morti con piu’ di $40 miliardi di danni, mentre quello in Kobe (Giappone) nel gennaio del 1995 causo’ 6500 vittime con un bilancio di $150 miliardi in perdite.

Dopo il terremoto, l’economia giapponese ha attraversato un periodo di crisi durato 3 anni.
Le prime preoccupazioni per l’economia giapponese furono sedate in una settimana, ma presto il Giappone fu sconvolto da un attacco al gas nervino che provocò 12 morti e 5.500 intossicati.

L’indice sulla fiducia del consumatore crollo’, ma la paura di una recessione incombente si rivelo’ infondata. Infatti, l’economia crebbe dell’1,6% nel 1995, supportata da una buona politica fiscale.