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USA: L’ INFLAZIONE FA MENO PAURA

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Il dato sui prezzi di giugno ha evidenziato segnali misti. Se da un lato il dato generale ha segnato una variazione mensile (la settima positiva consecutiva) superiore alle attese (portando il tendenziale al 3,3%, livello massimo da maggio 2001), l’indice core ha invece segnato una variazione mensile inferiore alle attese con un tendenziale invariato all’1,9%. Sensibile è stato l’incremento della componente servizi (+0,3% da +0,2% m/m) che conta per circa il 60% sull’intero indice.

Nel complesso, considerando che l’attenzione della Fed è stata finora focalizzata sulle componenti core degli indici sui prezzi, il dato odierno potrebbe ancora consentire alla banca centrale Usa di mantenere un atteggiamento moderato in tema tassi, continuando a considerare temporanei i fattori (in particolare il rialzo del prezzo del petrolio) che nel frattempo stanno spingendo al rialzo l’indice generale. Il prossimo martedì verificheremo se Greenspan nel suo discorso al Senato confermerà tale posizione.

Alcune considerazioni però possono essere utili per delineare l’atteggiamento futuro degli operatori sui tassi. Al momento un incremento delle pressioni sui prezzi viene interpretato come un potenziale supporto per una politica più aggressiva della Fed.

Se però gli incrementi del petrolio perdurano, dovrebbe prevalere un atteggiamento maggiormente rivolto alle possibili ripercussioni negative che tale andamento potrebbe avere sulla crescita.

In tal caso la Fed potrebbe ulteriormente essere indotta a diradare la frequenza con cui procedere al rialzo dei tassi, soprattutto qualora i dati macro segnalanti un rallentamento dell’economia dovessero aumentare.

Inoltre occorre considerare che in genere già tra il terzo ed il quarto trimestre dell’anno l’attenzione degli operatori si rivolge maggiormente sulla crescita attesa per l’anno successivo. In questo caso le previsioni sono per un rallentamento che dovrebbe portare il pil a crescere circa l’1% in meno rispetto al 2004.

In tale ottica riteniamo che nel corso del terzo trimestre, la maggiore preoccupazione sulla crescita in ottica 2005 potrebbe portare i tassi decennali Usa (tra agosto e settembre) su livelli più vicini al 4%.

Il movimento potrebbe innescarsi laddove gli operatori arrivassero a cancellare l’ipotesi di un rialzo in uno dei prossimi 4 Fomc. Il principale indiziato in tal caso rimane il Fomc del 21 settembre, essendo tra l’altro molto vicino alle elezioni presidenziali.

Nel frattempo segnaliamo che a maggio gli acquisti netti di asset statunitensi da parte di investitori stranieri sono bruscamente calati, passando da 76 a 56,4Mld$, il livello più basso dallo scorso mese di ottobre. Il calo ha interessato principalmente l’acquisto netto di Treasuries, passato da +35 a +21.9 Mld$.

Si tratta di un valore ancora superiore rispetto al livello mensile del deficit di bilancia commerciale. Il valore però si è posizionato questa volta su livelli molto prossimi al citato deficit, che a maggio è stato pari a circa 45 Mld$. Tale andamento andrà monitorato nei prossimi mesi, in quanto potrebbe costituire uno dei principali fattori che potrebbero spingere verso l’indebolimento del Dollaro.

* Antonio Cesarano e’ il Responsabile Desk Market Research di MPS Finance.