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USA, IL RIALZO DEI TASSI NON FA PAURA

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«Le decisioni e i comportamenti della Federal Reserve non sono mai immutabili e non abbiamo la pretesa che siano infallibili: se e quando capiremo di avere sbagliato modificheremo il nostro atteggiamento e questa flessibilità è una virtù, non certo un difetto».

Sono parole di Gary Stern, presidente della Fed di Minneapolis e membro non votante del Federal Open Market Committee, pronunciate pochi giorni fa a seguito delle critiche di alcuni osservatori che stanno accusando la Fed di ritardare eccessivamente il rialzo dei tassi e di permettere all’inflazione di rialzare la testa.

Ma lo stesso Stern ha aggiunto che l’aumento dei prezzi delle fonti energetiche non necessariamente vuol dire inflazione, concetto che fa certo riferimento ad un generale incremento dei prezzi ma si qualifica soprattutto come fenomeno monetario: il problema inflazione, in effetti, si combatte efficacemente con un’adeguata gestione dei tassi di interesse quando deriva da un eccesso di liquidità di circolazione, che si traduce inevitabilmente in un flusso di domanda superiore all’offerta disponibile e quindi in un rialzo dei beni e delle merci.

Quando invece la pressione inflazionistica dipende da shock esogeni, come sta accadendo in questi mesi con il balzo del petrolio, e auspicabilmente temporanei, la politica monetaria si rivela di fatto poco efficace in quanto può solo marginalmente limitare la crescita del fabbisogno energetico.

La prudenza della Fed nel modificare all’insù i tassi dal livello attuale dell’1%, il più basso dal 1958, anche in presenza di una crescita economica sostenuta negli ultimi trimestri e di un avanzamento dei prezzi sia alla produzione sia al consumo nasce proprio dalla considerazione che la dinamica strutturale dell’inflazione è ancora sotto controllo in quanto gli spaventosi incrementi di produttività dell’ultimo decennio hanno consentito di produrre sempre meglio e a costi sempre contenuti e di aumentare i margini di profitto senza scaricare sul consumatore finale.

I timori per una brusca e violenta virata dell’impostazione di Greenspan e soci si devono pertanto ritenere eccessivi: i tassi risaliranno gradatamente, a partire dalla riunione di fine mese con il primo rialzo di 25 basis points, verso quel livello considerato neutrale che oggi la maggior parte degli analisti colloca tra il 2,5% e il 3,5%, ben lontano dunque dalla banda 5-6% nella quale stazionavano fino al 2000.

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