E’ uno scenario cupo quello che si staglia davanti i colossi automobilistici statunitensi, noti anche come”i tre colossi di Detroit”. Il la lo dà due giorni fa Ford che, nel pubblicare i dati di bilancio relativi al quarto trimestre dello scorso anno, riporta una perdita di 5,8 miliardi di dollari, portando così il “rosso” complessivo per il 2006 a 12,75 miliardi, la peggiore performance nella storia della compagnia. La crisi della Ford in realtà dura da oramai due anni, se si considera il fatto che l’ultimo “nero” viene raggiunto nei primi mesi del 2005. In difficoltà anche peggiori versa Gm, che due giorni fa annuncia il rinvio della comunicazione sui dati di bilancio, a causa degli errori di contabilizzazione commessi negli ultimi cinque anni. Lo stesso annuncio viene fatto lo scorso anno, quando Gm annuncia la revisione dei conti dal 2000. Tornando alla Ford, il Los Angeles Times, segnala come tra le principali cause del “down-turn” del colosso automobilistico giunga il calo delle vendite dei pick-up e dei Suv, due dei comparti a maggiore profittabilità. Tuttavia come scrive il Detroit News, non ci sono attualmente “soluzioni facili” per risolvere questi problemi. L’interrogativo che aleggia tra gli investitori è se l’attuale amministratore delegato, Alan Mulally, riuscirà nell’impresa di lanciare sul mercato veicoli in grado di attrarre i clienti, convincere i sindacati a rinunciare a parte dei benefit ottenuti dai loro predecessori e “rivoluzionare una cultura aziendale che ha anteposto per molto tempo l’ambizione personale al successo della compagnia”. La situazione è dunque delicata. Basterebbe poco, uno sciopero, un imprevisto cambiamento dei gusti della gente e inattesi problemi dei veicoli per far deragliare il piano di rilancio elaborato da Mulally. Parlando al Detroit Free Press, lo stesso Mulally ammette di “aver toccato il fondo”. La comunità degli investitori sembra tuttavia voler dare fiducia al top manager che intende far tornare profittevole Ford nel 2009. La crisi che sta caratterizzando il settore statunitense delle auto dunque è dunque profonda. “Toyota e le altri rivali straniere stanno producendo modelli che incontrano maggiormente il favore dei clienti – scrive il Wall Street Journal -; inoltre, come tutti gli altri bastioni del comparto industriale americano, anche i produttori di automobili sono appensantiti dai costi sanitari e pensionistici per i dipendenti che entrano in pensione il cui numero scavalca abbondantemente quello della forza lavoro”. Qualcosa però si sta muovendo. Il New York Times in particolare sottolinea come l’assunzione di Mulally, ex dirigente Boeing, al vertice della Ford costituisca un segnale importante di una tendenza in atto nell’intero comparto: quella di cercare “l’uomo del cambiamento” al di fuori del settore automobilistico.