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UOMINI SENZA

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(WSI) –
Dice sempre: «Non sono un disabile, è solo che non ho le gambe». E a forza di dirlo ha finito per cambiare la realtà, adeguandola alle sue parole. Oscar Pistorius, biondo, sudafricano, con quel cognome da professore di Harry Potter, ha vent’anni e non è un disabile: è solo che non ha le gambe.

Gliele hanno amputate quand’era piccolo e da allora ha cominciato a correre in groppa alle protesi. Sempre più forte, fino a tagliare il traguardo dei 400 metri in 46 secondi e mezzo, a un soffio dal tempo che gli consentirebbe di partecipare alle Olimpiadi di Pechino nella gara di chi le gambe le ha ancora. Le gambe e poco altro, se è vero che sono stati proprio alcuni di questi atleti «normodotati» a chiedere alla federazione mondiale di escludere Pistorius dalla loro corsa: le esili grucce al carbonio, rendendo più elastica la sua falcata, lo avvantaggerebbero rispetto ai legittimi possessori di alluci e polpacci.

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Quanto è più facile commuoversi davanti alla diversità che accettarla, soprattutto quando non ci viene incontro con il ricatto della commiserazione, ma guardandoci sportivamente negli occhi. Eppure l’impari sfida fra il sogno di Pistorius e la grettezza dei suoi avversari contiene anche un risvolto ironico: se dei corridori ubriachi di doping hanno paura di misurarsi con un paio di piedi d’acciaio, significa che per la prima volta sono loro a sentirsi in una posizione di svantaggio. Chissà se accetterebbero di fare cambio. Ma tanto sarebbe Pistorius a rifiutarlo. Specie se di quei tipi, oltre le gambe, fosse costretto a prendersi anche la testa.

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