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UNIONE BRANCALEONE

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(WSI) – L’eterno ritorno di Silvio Berlusconi, candidato per la quinta volta a Palazzo Chigi a 71 anni suonati, ricorda i film horror sui morti viventi. Ma prendersela col destino cinico e baro, o col solo Mastella, o con gli eterni secondi Fini e Casini che tre mesi fa annunciavano sfracelli e ora son già rientrati all’ovile, sarebbe comico.

A novembre il Cavaliere era un uomo politicamente defunto. Bossi flirtava con la sinistra in cambio di uno straccio di ‘federalismo’, An e Udc picconavano la Cdl e parlavano financo di conflitto d’interessi, i Fini Boys schifavano “gli amici del mafioso Vittorio Mangano” e riscoprivano antiche affinità con Paolo Borsellino. Lo statista di Milanello, detronizzato dai partner, in picchiata nei sondaggi, fallite una dozzina di ‘spallate’ al governo, tentava di intercettare l”antipolitica’ inventandosi un Avatar al femminile, Michela Vittoria Brambilla, fondando partiti dai nomi cangianti sul predellino di una Mercedes e millantando 10 milioni di baionette nei gazebo semideserti delle finte primarie. Un caso umano.

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A quel punto entrò in scena Walter Veltroni, legittimato da tre milioni di voti veri. Anziché incunearsi nelle divisioni del centrodestra, dialogando con Fini, Casini e Bossi su un unico tavolo che comprendesse legge elettorale, conflitto d’interessi e tv, scelse il Cavaliere come interlocutore privilegiato e lo riportò sul trono, isolandone gli alleati in fuga. Sordina
al conflitto d’interessi e al problema tv, dialogo su una riforma elettorale e addirittura costituzionale che consentisse ai due partiti maggiori di scrollarsi di dosso gli alleati.

Chi non ricorda gli amorosi sensi tra i due “grandi riformatori” nonché “padri della Terza Repubblica”,le telefonate quotidiane tra Gianni Letta e Goffredo Bettini, gli entusiasmi dei dalemiani vedovi inconsolabili della Bicamerale e le serenate di Cicchitto&Bondi sotto il Campidoglio? Giuliano Ferrara coniava la figura del ‘CaW’ (mezzo Cav. e mezzo Walter), Veltroni rilasciava mega-interviste al ‘Foglio’ e il Pd invitava il consigliori berlusconiano a presenziare alla riunione del comitato Valori. Invano Prodi e i suoi mettevano in guardia dalla pluricollaudata inaffidabilità del Cavaliere, rassicuravano gli alleati su un ritorno al Mattarellum e insistevano sul conflitto d’interessi per tener insieme l’Unione Brancaleone.

Il 19 gennaio, tre giorni dopo l’arresto di lady Mastella e di mezza Udeur, il colpo di genio: Veltroni annuncia agli alleati che “il Pd correrà da solo” con qualunque legge elettorale. Una mossa gabellata come innovativa, che in realtà – come ha scritto Barbara Spinelli – è quanto di più vecchio si possa immaginare: “un partito che si presenta alle urne e poi deciderà con chi e con quale programma governerà”. Due giorni dopo Mastella lascia l’Unione e cade il governo. Mentre i papaveri Pd lo invitano al “governo istituzionale” e al “senso di responsabilità” (sic!), Berlusconi dimostra quel che si era sempre saputo: delle riforme non gliene importa nulla. E viaggia come un treno straniero verso le urne, per capitalizzare il mega-vantaggio dei sondaggi.

Correrà con tutti gli alleati, nessuno escluso, anzi inclusi Mastella e Dini, poi abolirà le intercettazioni e la libertà di stampa. Per il Pd si annuncia una campagna elettorale muta. Non potrà nominare il conflitto d’interessi, non avendolo risolto nemmeno stavolta. Né potrà evocare lo spauracchio Berlusconi, avendoci dialogato fino all’altroieri. Se questi sono i professionisti della politica, ridateci i dilettanti.

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