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UN PAESE SALVATO DALLE PPSS

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(WSI) – C’è un’Italia che resiste al grande crack. Lo dice il Censis, lo confermano i numeri. Il Belpaese presenta tuttora una struttura ad altissima intensità industriale: quasi il 21% del valore aggiunto complessivo deriva dal settore manifatturiero (contro il 15,6% della Gran Bretagna e il 14,1% della Francia).


Nel Belpaese resistono 8,8 imprese manifatturiere ogni 1.000 abitanti: il tasso di imprenditorialità più elevato in Eurolandia (doppio rispetto alla Francia, quadruplo rispetto alla Gran Bretagna). Nel Belpaese, tra il 2001 e il 2006 quasi 6 mila imprese hanno avviato un’attività all’estero: il 54,5% delle 3 mila aziende esportatrici con più di 50 addetti ha aperto un nuovo impianto, il 45,5% ha trasferito solo alcune funzioni operative.

Ma già da questi numeri si capisce che il profilo dell’«Italia che resiste» è quello di un microcapitalismo molecolare, preziosissimo ma insufficiente a garantire a una piccola astrazione geografica il peso e la forza di una grande potenza economica. Rassegniamoci: questa partita, ormai, l’abbiamo persa. Ci fu un tempo in cui lottavamo per il quarto e il quinto posto, nella classifica dei Paesi industrializzati. Oggi non è più così. Domani lo sarà ancora meno.


La grande industria sta scomparendo. La Fiat, grazie alla cura Marchionne, è salva ma mette in cassa integrazione 50 mila dipendenti e presto finirà per confluire in una conglomerata continentale. L’Alitalia, rinata Cai, è una modesta e precaria compagnia regionale. Telecom, con un piano industriale tutto domestico, ha ormai rinunciato a giocare un ruolo da player internazionale.

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Cosa rimane? La geopolitica energetica fondata da Enrico Mattei e seguita dai nuovi «boiardi». L’Eni di Paolo Scaroni si prepara ad accogliere i soci gheddafiani del Lybian Energy Fund, che stabilizzano l’assetto azionario, conferiscono una parte cospicua dei 65 miliardi di dollari di capitali disponibili e assicurano il 17% delle forniture petrolifere annuali.


Enel di Fulvio Conti si prepara a rompere il matrimonio con i «consoci» di Acciona e a rilevare il 100% della spagnola Endesa, forte della fiducia e del finanziamento da quasi 10 miliardi di euro da parte di due colossi del credito iberico, il Bilbao e il Santander. Sono due segnali positivi, per il brand Italia. Ma sono gli unici, purtroppo. Ed è una magra consolazione, se la faccia di questo Paese si salva solo grazie a quelle che furono le vecchie Partecipazioni Statali.

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