Da qualche settimana nelle sale operative non si parla d’altro. Anche se il “flash crash” del 6 maggio deve aver senza dubbio distolto gli investitori dal principale pericolo che si aggira per i mercati, il silenzioso crash delle materie prime e’ sotto gli occhi di tutti e secondo gli analisti rispecchia il rischio crescente di deflazione, oltre che la piu’ semplicistica spiegazione di un contemporaneo rafforzamento del dollaro.
Fino a qualche settimana fa le materie prime erano nel bel mezzo di un boom dei prezzi, con Merrill Lynch che e’ arrivata a definire l’interesse speculativo per il rame e altri metalli come acciaio e platino, o anche il caucciu’, un evento senza precedenti.
Allora a stupire era stato anche il balzo dei prezzi del petrolio. E’ noto che negli Stati Uniti con la fine dell’inverno le quotazioni dell’oro nero tendono a scendere, perche’ i consumi sono molto piu’ bassi rispetto ai volumi che si riscontrano nel periodo estivo dei grandi spostamenti. Non e’ stato cosi’ quest’anno, tuttavia, nonostante la produzione fosse piu’ che sufficiente a rispondere alla domanda.
Molti analisti concordano sul fatto che sia nel boom di prima che nel crash attuale ci sia lo zampino dei fondi hedge, mentre per altri, i soliti pessimisti, ci sarebbe dell’altro: il calo delle commodity (di rame e petrolio in particolare) indotto dalla crisi greca e dal deprezzamento vorticoso dell’euro, sarebbe l’allarmante segnale di una recessione a doppia V.
Basti pensare che il rame e’ scivolato da $3.65 per libra a inizio aprile a $3 a meta’ maggio. Cio’ perche’ – dicono gli esperti – l’indistria automobilistica europea consumera’ molto meno rame rispetto al passato per le misure di austerita’ e ribilanciamento fiscale varate dalla Ue. La flessione del 18% non e’ molto piu’ pesante di quella subita da petrolio, palladio e platino, tutti in calo dal 17 al 23% nell’ultimo mese. Ecco che il crash delle commodities puo’ essere letto nel suo vero significato: l’economia globale va verso un rallentamento generale.
Inoltre il tracollo delle commodities e’ avvenuto in concomitanza di un rally dell’oro, fattore che indica come il calo sia ancora piu’ pesante se misurato nei confronti del metallo prezioso, che i suoi fan chiamano “soldi veri” (al contrario delle banconote di valute).
Ad esempio, fino a solo qualche settimana fa servivano 13.85 barili di petrolio per comprare un’oncia di oro. Adesso costa 17.5 barili. In poche parole, in tre settimane il valore del greggio e’ sceso poco piu’ del 25%, se misurato in oro. Di solito materie prime e metallo giallo si muovono all’unisono o quasi. Un rapporto costante che nell’ultimo mese e’ stato mandato all’aria.
Quello che pero’ i pessimisti sembrano tralasciare colpevolmente e’ che le quotazioni del rame hanno toccato il fondo di $1.34 a dicembre 2008 e che nonostante i forti cali delle ultime settimane, il valore del metallo e’ ancora del 132% sopra il bottom.
Non bisogna pero’ nemmeno sottovalutare la deflazione che rischiano di provocare le misure di austerita’ in Europa e l’impatto della molteplice stretta monetaria in Cina. Nel frattempo negli Stati Uniti l’effetto piu’ imponente del pacchetto di rilancio fiscale e monetario si e’ esaurito. Il prossimo anno potrebbero gia’ esserci i primi rialzi dei tassi e la Fed continua a interrogarsi su come ridurre il suo saldo di bilancio.
Nel contesto di pressioni deflative di questo tipo sull’economia mondiale, la fuga dalle commodity come il rame ha senso. Non si tratta solo delle speculazioni di qualche isolato fondo hedge. E puo’ succedere che avvenga in contemporanea con un rincaro dell’oro, il bene rifugio per eccellenza.
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