Società

UN CONFLITTO BREVE SPINGE BORSA E DOLLARO

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Dal Wall Street Italia cartaceo, l’intervista a Paul Samuelson, premio Nobel per l’Economia nel 1970.

Gli eventi degli ultimi giorni hanno fatto evaporare le speranze di una guerra-lampo in Iraq. Che ripercussioni potrebbe avere sull’economia un conflitto prolungato?

In termini macroeconomici, i costi del conflitto in se’, breve o lungo che sia, sono minimi. Comunque, considerata l’enorme superiorita’ tecnologica degli Stati Uniti, Baghdad non potra’ resistere a lungo. Il problema sara’ vedere con quanta serieta’ l’amministrazione Bush affrontera’ la questione della ricostruzione e se nell’Iraq post-Saddam sara’ veramente possibile instaurare un sistema democratico. Ma al di la’ della guerra, sull’economia gravano problemi strutturali, come la sovrapproduzione e gli scandali delle aziende. Anche se avremo una buona ripresa, con una crescita reale del 2,5%-3% quest’anno, non sappiamo ancora se l’ondata di illeciti societari sia davvero finita. Il mercato del lavoro rimane debole e la fiducia dei consumatori scarsa. Finora il team di Bush non ha perseguito gli obiettivi migliori dal punto di vista della stabilizzazione dell’economia. Per fortuna la Federal Reserve sta facendo un buon lavoro.

E per quanto riguarda i mercati finanziari?

Come abbiamo visto, le borse sono estremamente sensibili a cio’ che accade sulla scena geopolitica. Un conflitto facile e veloce darebbe una spinta al dollaro e ai listini azionari, ma solo in un’ottica di breve termine. Purtroppo il momento non e’ dei migliori: stiamo ancora patendo le conseguenze dell’enorme bolla speculativa degli anni Novanta e la fiducia degli investitori e’ ai minimi termini. A mio avviso non sarebbe una tragedia se il mercato azionario rimanesse sui livelli attuali per i prossimi 10 anni.

Su quali settori consiglia di puntare in questo momento?

La guerra e’ ovviamente una buona notizia per i produttori di armi ad alta tecnologia e per le societa’ specializzate nella difesa, come Raytheon e Boeing. Mi preoccupano invece aziende come Microsoft, General Electric, Ericsson e Nokia, che non risentono direttamente degli effetti positivi del conflitto e sono gia’ piagate dalla sovrapproduzione.

Riprodotto dal giornale Wall Street Italia del 26 marzo 2003, allegato a Metro