E’ scattato ormai il conto alla rovescia. Nelle assemblee straordinarie di Telecom Italia e Olivetti, previste per il 24 e il 26 maggio, verrà deliberata la fusione tra le due società permettendo a Marco Tronchetti Provera di completare l’operazione di leverage buy out iniziata nel 2000 dall’accoppiata Colaninno – Gnutti.
Si tratta di un’operazione che, da un lato, consente di affogare i debiti contratti da Olivetti per l’acquisizione di Telecom Italia con i flussi di cassa generati dalle società operative (Telecom Italia e TIM) ma che, dall’altro, diluisce la percentuale detenuta da Olimpia, holding di controllo del trio Tronchetti Provera – Benetton – Gnutti, rendendo tecnicamente contendibile la società senza la necessità di un’offerta di pubblico acquisto sul 100% del capitale come previsto dalla legge Draghi.
Secondo una simulazione contenuta nella relazione degli amministratori sulla fusione Olivetti – Telecom Italia – escludendo ulteriori conversioni in titoli Olivetti oltre a quelle previste al 31 marzo, che non siano esercitate le stock option, che il recesso sia esercitato dal 25% di azionisti diversi da Olimpia e che, infine, l’opa su Telecom venga effettuata sul 14.6% delle azioni ordinarie e di risparmio – la quota di Olimpia dovrebbe scendere dal 28.54% al 13.85%, insufficiente per garantire un reale controllo sulla società da parte della holding che, peraltro, non è intenzionata a effettuare nuovi investimenti per aumentare la propria quota in Telecom Italia.
Come può Tronchetti Provera evitare di perdere il controllo del gruppo? Si prospetta un nuovo partner industriale per Olimpia in grado di blindare con un patto di sindacato un pacchetto di azioni Telecom Italia appena inferiori al fatidico 30%? Per cercare di rispondere a queste domande conviene fare qualche passo indietro cercando di analizzare alcuni passaggi che si sono dimostrati, a posteriori, fondamentali nell’evoluzione societaria del gruppo telefonico italiano.
Nel settembre 2000 la Pirelli riesce a piazzare l’affare del secolo. In piena euforia da new economy cede in contanti la Optical Technologies Usa (Otusa) di proprietà al 90% di Pirelli e al 10% di Cisco all’americana Corning a un prezzo pari a 168 volte il proprio fatturato. Il giro d’affari di questa unità di alta tecnologia era di 22 milioni di dollari. Nessuna acquisizione è mai avvenuta a quei multipli di mercato e soprattutto in contanti. La quota di Cisco, infatti, fu pagata in azioni Corning.
Senza la vendita della, la Pirelli non avrebbe avuto la base finanziaria per acquisire il controllo di Telecom Italia solo dieci mesi più tardi. E, se non fosse intervenuto Tronchetti Provera, tutta la piramide di controllo di Telecom Italia (Olivetti, Bell, Hopa) e le stesse banche finanziatrici, prima tra tutte la Chase Manhattan, avrebbero rischiato di perdere un sacco di soldi.
Pirelli, infatti, pagò 4,175 euro ad azione le quote Olivetti in mano a Bell quando avrebbe potuto comprare sul mercato il 29% di Olivetti con un investimento dimezzato. In sostanza, è come se avesse restituito a Chase Manhattan, diventata nel frattempo JP Morgan Chase, il favore della cessione, qualche mese prima, di Otusa a Corning. Vale la pena ricordare che nel gennaio 2001 Marco Tronchetti Provera viene chiamato a sedere nel prestigiosissimo advisory international board di JP Morgan Chase, accanto ai nomi più illustri dell’establishment americano come David Rockefeller e Henry Kissinger.
Appare evidente, da questa breve ricostruzione, il ruolo centrale assunto nell’evoluzione societaria del gruppo telefonico italiano da Chase Manhattan che ha pilotato il passaggio di Telecom verso Marco Tronchetti Provera e ha trovato nella nuova Hopa di Chicco Gnutti, rientrata in Olimpia, la camera di compensazione di gran parte degli interessi del capitalismo italiano.
Rimane ancora da capire, però, chi potrà essere il nuovo partner industriale di Olimpia nella nuova Telecom Italia. Considerando le possibili sinergie operative, gli interessi dimostrati già in passato e la disponibilità di credito sia in Italia che soprattutto negli Stati Uniti, un possibile partner per blindare Telecom Italia dopo la fusione con Olivetti potrebbe essere il gruppo Mediaset.
A detta di molti analisti, italiani ed esteri, infatti, Mediaset ha raggiunto una fase di maturità nel proprio business e necessità di nuovi mercati per poter crescere ulteriormente. L’acquisizione di un’importante quota in Telecom Italia, oltre a eliminare un potenziale competitor sul fronte televisivo, garantirebbe un mercato di sbocco in rapida espansione come quello dei contenuti da diffondere sulle reti a banda larga sia fisse che mobili, reti sulle quali Telecom Italia mantiene una leadership indiscussa.
Un investimento nell’ordine dei 5-6 miliardi di euro, potrebbe essere in larga misura finanziato da istituti bancari, ad esempio proprio Chase Manhattan, mettendo a garanzia i titoli acquisiti. Gli elevati dividenti pagati da Telecom Italia garantirebbero, nel contempo, un’adeguata remunerazione del capitale investito oltre a coprire gli interessi pagati sulla parte a debito.
E’ ovviamente solo un’ipotesi di lavoro. Certo però che (a parte evidenti conflitti di interesse che si verrebbero a creare), vale la pena esplorarla poiché, da un lato, sarebbe un’operazione in grado di mantenere saldamente in mani italiane il controllo di Telecom Italia e, dall’altro, garantirebbe al gruppo un azionariato stabile meno suscettibile a disinvolte operazioni come quelle che negli ultimi anni non sempre hanno creato valore per i risparmiatori.
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