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TUTTI GLI OCCHI PUNTATI SU BNL

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*Giorgio Mulè e’ il Direttore di Panorama Economy. Il contenuto di questo articolo esprime esclusivamente il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Dopo mesi di chiacchiere, presto conosceremo il finale di alcune partite fondamentali per l’assetto economico-finanziario italiano. I campi sono molteplici. In dirittura d’arrivo c’è l’approvazione della legge sul risparmio, che non pochi politici hanno ridotto all’ennesima sterile divisione sul governatore Antonio Fazio e sulla durata del mandato del numero uno di Bankitalia.

Ovviamente la legge non è la migliore possibile, ovviamente si sarebbe potuto incidere di più sui temi della vigilanza e della tutela dei risparmiatori, ovviamente scontenterà molti. Sicuramente, però, la legge restituirà serenità alla Banca d’Italia, che potrà tornare a concentrarsi a tempo pieno sui temi più caldi all’ordine del giorno.

E qui veniamo a parlare dell’assetto della Banca Nazionale del Lavoro e della Banca Antonveneta. La partita più turbolenta e che per certi versi presenta molte similitudini con Rcs (nella società che edita il Corriere della Sera si ritrovano gli stessi protagonisti) è quella legata ai destini della Bnl. Dalla fine dell’autunno scorso si è formato un contropatto rispetto a Banco Bilbao-Generali-Della Valle stretto intorno a Francesco Gaetano Caltagirone.

Ancora oggi influenti banchieri e politici romani non sanno darsi pace e continuano a chiedersi perché il «patto» non abbia favorito l’ingresso dell’immobiliarista evitando di andare oggi a una conta pericolosa per tutti. E infatti: a brevissimo c’è il rischio di trovarsi all’assemblea della Bnl con la seguente situazione che evito di approfondire nei dettagli tecnici per non tediarvi: con gli attuali equilibri, sui 15 consiglieri del cda, otto sarebbero legati al patto e sette al contropatto. Sarebbe una situazione ingovernabile.

A far da ago della bilancia è il Monte dei Paschi di Siena, all’interno del quale Caltagirone ha una quota – e una capacità di pressione – rilevante. Mps, al momento, è la fanciulla del desiderio in quanto con il suo 4,4% in Bnl non legato a patto o contropatto può decidere le sorti di uno schieramento o dell’altro. Ma c’è di più. All’orizzonte si delinea una grana mica facile da risolvere: che succederebbe, infatti, se il gruppo di imprenditori riuscisse a prendere il comando? Il testo unico bancario vieta (articolo 19 comma 6) il controllo di un istituto di credito a «soggetti che svolgono in misura rilevante attività d’impresa in settori non bancari né finanziari» come appunto Caltagirone & C. concedendogli al massimo una quota pari al 15% del capitale di una banca.

Ma quel 15%, questo il nodo, è da intendersi riferito a un solo imprenditore o a una cordata? Se l’interpretazione (e qui bisogna tornare a guardare al governatore) dovesse essere in favore della prima ipotesi, si spalancherebbero le porte delle banche agli imprenditori. E sarebbe uno sconvolgimento epocale con ripercussioni evidenti su chi esercita il potere in questo Paese.

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