(WSI) – “Ma vi rendete conto? Prima mi ha posto un diktat inaccettabile con questa storia del vicepremier, poi mi ha messo con le spalle al muro negando il taglio sull’Irap. Così non si può più andare avanti”. Silvio Berlusconi ha perso la fiducia in Giulio Tremonti. Lo hanno capito chiaramente i tre coordinatori del Pdl – Denis Verdini, Ignazio La Russa e Sandro Bondi – saliti ieri ad Arcore per un vertice di tre ore dedicato interamente all’emergenza creata dal ministro dell’Economia.
Una vicenda dall’esito non scontato, aperta a ogni possibile soluzione. Compresa quella più traumatica delle dimissioni (o del dimissionamento) del ministro e dell’assunzione dell’interim per lo stesso Berlusconi. O la sua sostituzione con un tecnico. Perché lo sfogo del Cavaliere contro colui che, fino a qualche mese fa, veniva definito “il geniale Giulio” è stato davvero tale da sorprendere persino gli avversari interni del ministro. “Tremonti viene a casa mia a dettare condizioni? Ma io prendo un Draghi, un tecnico qualsiasi, e lo mando a casa”.
Certo, è stato uno scatto d’ira dovuto alla frustrazione accumulata in questi giorni. Certo, sarà anche vero, come ripete uno degli uomini più vicini al premier, che nei confronti di Tremonti “per il momento la linea è questa: nessuna promozione e nessuna punizione”. Ma ormai nel Pdl, nei circoli più ostili al superministro, già si ragiona sui possibili sostituti. Magari un tecnico competente ma dal basso profilo, così da chiarire definitivamente, in Italia e all’estero, che “la politica economica del governo la fa il presidente del Consiglio”. O magari un politico come Maurizio Sacconi, che nel Pdl riscuote molti consensi. Oppure persino un leghista come Giancarlo Giorgetti.
Il fatto è che tutti, dentro il partito di maggioranza relativa, ormai considerano Tremonti non solo un “ministro leghista” ma proprio un corpo estraneo. “Sullo scudo fiscale – racconta un ministro – ci ha giocato l’ultima beffa. Faceva schifo e ci ha convinto a votarlo con la promessa che i soldi sarebbero andati a coprire i progetti dei nostri ministeri. E invece adesso i proventi dello scudo li gestisce lui”. Non sarà così, ma è indicativo del clima che si respira nel Consiglio dei ministri. A fare muro ormai non sono soltanto quelli di provenienza ex An, ma il dissenso si è allargato a tutto il Pdl. La prima decisione quindi è stata quella di non premiare il ministro affidandogli anche la vicepresidenza del Consiglio. D’altronde il lamento salito da tutto il partito verso il Cavaliere, di cui ieri si sono fatti ambasciatori anche i tre coordinatori, è risuonato forte e chiaro ad Arcore: “Ma come, Tremonti ha fatto arrabbiare tutti e adesso vuole pure essere premiato?”.
Tra Berlusconi e Tremonti dunque si è assottigliato fino a rompersi il filo della fiducia. A far da detonatore, da ultimo, la polemica sull’Irap, che ha costretto il governo a un balletto incomprensibile. E Berlusconi se l’è legata al dito: “Tremonti mi aveva assicurato che quella tassa in Europa nessuno pensa di ridurla. Poi abbiamo capito che Sarkozy e la Merkel la ridurranno eccome”. Insomma, la situazione è questa. E sullo sfondo c’è anche la trattativa sulle candidature alle regionali, perché l’irritazione di Berlusconi nei confronti di Tremonti e dei leghisti ieri lo ha portato anche a rimettere in discussione il Veneto al Carroccio. “Queste polemiche – sintetizza uno dei tre coordinatori – di sicuro non favoriscono il dialogo. Se la Lega si impunta, se c’è un clima di sfiducia, allora tutto ritorna il ballo. Compreso il Veneto”.
Nel Pdl cominciano anche a nutrire il sospetto che questa “strana” difesa di Bossi di un posto da vicepremier per Tremonti in realtà altro non sia che una mossa tattica per alzare il prezzo nella trattativa sulle regionali. Il Carroccio, al momento giusto, lascerebbe andare Tremonti al suo destino, in cambio di due regioni pesanti – Veneto e Piemonte – oppure del boccone più grosso, la Lombardia per Roberto Castelli. Guarda caso ieri l’unico leghista che non si stracciava le vesti per il ministro dell’Economia era proprio l’ex Guardasigilli: “Ho stima per Tremonti, ma l’importante è che il governo rimanga stabile”. Così le voci sulle dimissioni del ministro e il totonomi per la successione sono state il rumore di fondo della giornata. E lo stesso Tremonti, da qualche tempo, andrebbe chiedendo in giro: “Ma secondo voi Draghi scalfirebbe la sua immagine super partes andandosi a mettere con Berlusconi?”.
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PDL: TREMONTI UNA MINACCIA, MA BOSSI NON FARA’ SALTARE GOVERNO
SCHEDA – Tremonti, la giostra dei candidati alla successione (Reuters)
Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti è sotto l’assedio di una parte importante del governo e della maggioranza che chiede maggiore iniziativa di spesa contro la crisi e maggiore collegialità nelle scelte di politica economica. Lui resiste con una politica di rigore dai margini imposti dall’elevato debito pubblico, che continua a salire. In questo clima di estrema incertezza ogni epilogo è possibile tra due estremi: da un rafforzamento del superministro dell’Economia, sponsorizzato dalla Lega che lo vedrebbe bene vice premier, alle sue dimissioni, come già accaduto nel luglio del 2004, dopo uno scontro con l’attuale presidente della Camera Gianfranco Fini. Nel frattempo la giostra dei candidati più e meno probabili a una sua successione ha iniziato a girare.
SILVIO BERLUSCONI, PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
Un interim con il quale Berlusconi assume anche le funzioni di ministro dell’Economia potrebbe essere la soluzione ponte più probabile e peraltro già vista in occasione della crisi Tremonti-1 del 2004.
MARIO DRAGHI, GOVERNATORE DI BANKITALIA
Il suo nome è comparso da qualche giorno sui giornali e ad accreditarlo come papabile è stato soprattutto Il Giornale di proprietà della famiglia del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. L’ipotesi però non viene presa sul serio nell’entourage del governatore, presidente del Financial Stability Board e considerato un ottimo candidato alla presidenza della Banca centrale europea nel 2011.
VITTORIO GRILLI, DIRETTORE GENERALE TESORO
Salirebbe di un gradino per arrivare dall’interno del ministero alla poltrona di Quintino Sella. Più tecnico che politico riproporrebbe uno schema già visto e poco di successo, con l’ascesa al ruolo di ministro di Domenico Siniscalco che era direttore nel 2004 quando Tremonti lasciò via XX settembre. Allora Siniscalco durò 14 mesi e lasciò, da ministro tecnico, per divergenze con la maggioranza, politica, del suo governo.
MARIO BALDASSARRI, PRESIDENTE COMMISSIONE FINANZA SENATO
Ex An, economista, già viceministro di Tremonti nel 2004, oggi è tra i critici più attivi del ministro dell’Economia. Ha scritto un emendamento alla Finanziaria che può essere letto come la dichiarazione programmatica per una politica economica alternativa a quella di Tremonti. Prevede 37 miliardi di tagli per coprire una iniezione per lo sviluppo da altrettanti 37 miliardi di spese e meno tasse. Secondo l’economista Francesco Giavazzi la ricetta-Baldassarri finirebbe per aumentare significativamente il deficit.
MAURIZIO SACCONI, MINISTRO LAVORO E SALUTE
Nelle fila del partito del Popolo della Libertà riscuote molti consensi, è stato considerato un alleato di Tremonti nella linea del rigore, ma non sono mancate frecciate e prese di distanza. Lo scorso dicembre Sacconi aveva pronunciato la parola tabù di ogni ministro dell’Economia, “Default”, e poi Tremonti lo aveva indotto a una frettolosa precisazione. Ora Tremonti tesse le lodi del posto fisso e Sacconi la dequalifica a “battuta rivolta agli anglossassoni de no’antri”.
RENATO BRUNETTA, MINISTRO PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Veneziano, economista, socialista passato a Forza Italia come Sacconi e Tremonti, fustigatore degli impiegati pubblici fannulloni e tra i ministri emergenti dell’attuale governo. “Tremonti dà una risposta per l’uscita dalla crisi che io non condivido”, si legge nel suo blog. Ha anche detto che ognuno ragiona con la testa che ha: lui con quella di economista, l’altro (Tremonti) da giurista. E non sembrava un complimento. A via XX settembre ha già messo i tornelli per i dipendenti, e che possa ambire a fare anche di più non lo ha mai nascosto: “Ogni soldato porta nel suo zaino il bastone del maresciallo”.
GIANCARLO GIORGETTI, PRESIDENTE COMMISSIONE BILANCIO CAMERA
Perdere Tremonti, di cui il leader della Lega ha detto “io lo proteggo”, per far arrivare all’Economia un leghista doc e competenze economiche riconosciute vorrebbe dire due cose, peraltro già lette: nel governo comanda Bossi e Tremonti, se cerchi bene, ha un fazzoletto verde in tasca.
DOMENICO SINISCALCO, AD MORGAN STANLEY ITALIA
La stampa ha registrato un suo incontro con Giulio Tremonti ed è bastato per accreditare il remake. Lui, che in realtà vede Tremonti a Milano spesso di lunedì, ha risposto: “Non scherziamo, sono un uomo libero”. Nel 2004 da direttore generale del Tesoro era succeduto a Tremonti e i rapporti tra i due, eufemizzando, si erano raffreddati.
Sul sito www.reuters.it altre notizie Reuters in italiano
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di Adalberto Signore
Governo, Berlusconi: “Tremonti è fuori dal Pdl”
Roma – Tre ore di riunione ad Arcore con Silvio Berlusconi e i triumviri del Pdl Sandro Bondi, Ignazio La Russa e Denis Verdini a parlare – giura il ministro della Difesa – non certo di Giulio Tremonti ma di politica economica. Un’immagine che basta da sola a dare la misura di quanto freddo ci sia in queste ore tra via XX Settembre e Palazzo Chigi, visto che fino a qualche settimana fa sarebbe stato semplicemente impensabile scindere Tremonti dalle scelte di politica economica dell’esecutivo.
E invece è proprio questa la novità che arriva dalla riunione di Villa San Martino, buttata lì da La Russa mentre lascia Arcore e poi messa nero su bianco in un comunicato che a leggerlo tra le righe è inequivocabile. «Nel corso dell’incontro – recita la nota – è stata espressa piena condivisione della politica economica del governo». E per chi avesse dei dubbi sul riferimento all’esecutivo – s’intende il premier o il ministro dell’Economia? – è sufficiente passare alla riga successiva: «In particolare si è concordato sulla necessità espressa dal presidente del Consiglio di coniugare e contemperare l’esigenza inderogabile del rigore, da tutti condivisa, a quella della ripresa dello sviluppo economico. Tutto ciò in coerenza con gli impegni programmatici assunti davanti agli elettori». Un riferimento esplicito alla polemica degli ultimi giorni tra Berlusconi e Tremonti sul taglio dell’Irap che, guarda un po’, è nel programma di governo.
Fin qui l’ufficialità che, va detto, racconta lo stato dell’arte in maniera piuttosto eloquente. Negli ultimi giorni, infatti, nelle conversazioni private Berlusconi è stato chiaro: la politica economica la decide il premier che poi è quello che ci mette la faccia davanti agli elettori. La strada, insomma, era segnata e ad accelerare le cose è stata probabilmente la scelta di Tremonti di presentarsi al faccia a faccia di sabato scorso accompagnato da Umberto Bossi e Roberto Calderoli a fargli da guardaspalle. La «goccia che ha fatto traboccare il vaso», concordano i presenti al vertice di Villa San Martino. «Sulla quale – spiega uno di loro – si può sorvolare solo facendo un grosso sacrificio». Anche perché, proprio mentre è in corso la riunione, arriva la presa di posizione del Senatùr che dando la sua benedizione alla promozione di Tremonti a vicepremier non gli fa certo un favore. «Ormai Giulio è fuori dal Pdl», chiosa il Cavaliere che a tutto pensa in queste ore fuorché ad una promozione per il titolare dell’Economia.
Così, è inevitabile che Berlusconi e i triumviri concordino sulla necessità che la politica economica del governo sia frutto di scelte collegiali e condivise. D’ora in poi – è il ragionamento del premier – tutti devono sapere che non c’è una delega in bianco appaltata ad un solo ministro. Questa, dice con un pizzico di delusione, è una situazione di cui «sono stufo». I tira e molla tra Tremonti e i ministri (anche di peso) sono infatti all’ordine del giorno da mesi e pure con il Cavaliere sono stati molti gli alti e bassi, tanto che nei momenti più critici – quando il ministro dell’Economia era solito mettere sul tavolo le sue dimissioni – Berlusconi ha pure accarezzato l’idea di assumere l’interim dell’Economia fino a che non si fosse individuato un degno successore. Un modo per rispondere allo scetticismo di Tremonti che in privato non nasconde la convinzione che dopo di lui possa esserci solo «un semplice prestanome».
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