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TRE BATTAGLIE PER UNIRE

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La diffidenza e l’ironia con cui una parte della stampa internazionale ha annunciato la presidenza italiana dell’Unione europea hanno già prodotto qualche anticorpo.

Molti uomini politici e qualche osservatore straniero si sono accorti che il pendolo era andato troppo lontano e che occorreva ridurre, nell’interesse di tutti, il campo delle oscillazioni e delle polemiche. Come presidente dell’Unione Silvio Berlusconi non sarà giudicato, in ultima analisi, per le sue vicende giudiziarie o per il suo conflitto d’interessi. Verrà pesato e valutato come organizzatore di consensi, mediatore e paziente artefice di proposte che giovino al futuro dell’Ue.

Dopo le divisioni degli scorsi mesi nessuno ha interesse a trasformare il prossimo semestre in una corrida contro il premier italiano. Il governo comincia il semestre con un handicap più importante, per molti aspetti, delle disavventure giudiziarie del suo presidente. Alcuni ministri (Antonio Martino, Giulio Tremonti, Umberto Bossi) hanno guardato alla moneta unica, per molto tempo, con scetticismo e diffidenza.

Le dimissioni di Renato Ruggiero, la posizione sul mandato giudiziario europeo e la mancata partecipazione dell’Italia al progetto per la costruzione di un grande aereo da trasporto, non sono state dimenticate. Il viaggio in Israele e in Palestina, in nome e per conto del presidente americano, non è piaciuto. Certe dichiarazioni di Bossi sull’euro, pronunciate alla vigilia del semestre italiano, sono molto più dannose della legge Cirami o del lodo Schifani.

Ma accanto a questo handicap Berlusconi ha doti e caratteristiche (qualcuno direbbe difetti) che potrebbero giovare alla sua presidenza. Non è un europeista, nello stile degli uomini che hanno governato l’Italia per alcuni decenni, e ha dato spesso la sensazione di pensare che i suoi rapporti con gli Stati Uniti siano più importanti di quelli dell’Italia con l’Unione. Ma ama i palcoscenici e cercherà di trasformare il semestre in un grande spettacolo internazionale.

Il dibattito sulla Costituzione europea e la conferenza intergovernativa, che l’Italia dovrà convocare e presiedere verso la metà di ottobre, sono la trama di un dramma in cui, se i riflettori saranno accesi sulla sua persona, reciterà con piacere. Ma dovrà sposare la causa della Costituzione e impegnarsi perché il progetto della Convenzione non venga mutilato o distorto.

Vi è dell’altro. Berlusconi ha vinto le elezioni con un programma modernizzatore, ma i progetti più difficili o controversi (opere pubbliche, riforma del sistema previdenziale) sono ancora nel cassetto. Come molti loro predecessori, i suoi ministri più intelligenti hanno capito che una direttiva europea può compensare la debolezza dei governi italiani e aiutarli a vincere battaglie per cui non sono, all’interno, abbastanza forti.

Vi sono almeno tre questioni in cui gli interessi dell’Italia potrebbero coincidere per sei mesi con quelli dell’Europa: le infrastrutture, la riforma del sistema previdenziale e l’immigrazione clandestina. Se Berlusconi riuscirà a conquistare l’approvazione del piano Tremonti per una grande rete di infrastrutture europee, un documento dell’Unione sul sistema previdenziale e una legge comune per immigrazione e diritto di asilo, la sua presidenza avrà ricadute positive sul governo e sulla sua persona.

In altre parole Berlusconi, nei prossimi mesi, potrebbe diventare europeista per calcolo, convenienza e amore della parte che sarà chiamato a sostenere. Gli idealisti europei storceranno la bocca, i realisti tireranno un sospiro di sollievo.

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