Franco Bernabè è uno dei manager italiani, uno dei pochissimi, conosciuto e ascoltato all’estero. Apprezzato non solo come “sonda” sul mercato italiano quando grandi gruppi stranieri chiedono lumi per entrarvi, ma anche per la tenacia con cui segue i problemi della politica internazionale. E’ appena stato nominato nel board del notevole Council on Foreign Relations, il più autorevole forum statunitense sui problemi della politica internazionale. E’ l’unico italiano, e prende il posto che per decenni è stato di Gianni Agnelli. E’ fresco di un seminario riservato sui rapporti euro atlantici, e per questo lo abbiamo incontrato. Trovandolo molto ma molto preoccupato.
“Tra le due rive dell’Atlantico la frattura è senza precedenti negli ultimi 50 anni”. Peggiore di quando la Francia uscì dalla Nato? “Più grave. Gli americani hanno avuto per la prima volta l’impressione di un’Europa adversary, antagonista. E’ qualcosa che ha a che fare con i sentimenti, prima che con diversi interessi politici. I viaggi di Dominique de Villepin in Africa per indurre i paesi membri a dire no sull’Iraq in Consiglio di sicurezza sono stati considerati da molti americani come un tradimento”.
Una percezione diffusa nella classe dirigente americana o solo tra i falchi neocon? “E’ un sentimento trasversale molto diffuso. I conservatori americani erano divisi, sull’Iraq. L’ala realista-kissingeriana suggeriva una via diversa da quella idealista-wilsoniana, che in realtà accomuna i neocon alla tradizione democratica. Ma di fronte al ‘no’ franco-tedesco l’America si è unita considerandolo un tradimento”.
In effetti sull’edizione americana del Wall Street Journal Donna Brazile e Thimoty Bergreen, l’ex braccio destro di Al Gore e un ex undersecretary al Dipartimento di Stato sotto Bill Clinton, chiedono ai democratici di non tirarsi indietro nella guerra al terrorismo. Europa scomunicata, dunque?
“Non si tratta di questo. Gli Usa ammettono un’Europa con interessi distinti da quelli americani. Non hanno tollerato i comportamenti apertamente antagonisti in giro per il mondo assunti dal governo francese”.
Italia, Spagna e Portogallo hanno tenuto una posizione vicina a quella di Tony Blair. Non spetta loro un ruolo specifico per ricucire la frattura?
“Sarebbe velleitario. Londra è caso a parte. A Washington hanno chiara la posizione di Roma e Madrid, ma identificano la posizione europea con quella franco-tedesca. Quando distinguono tra “vecchia” e “nuova” Europa, considerano quest’ultima come il blocco dei paesi dell’Est europeo, verso i quali va il loro maggior interesse”.
Quindi? “La soluzione alla frattura euro-atlantica potrà venire non da iniziative nazionali, ma solo se e quando le nuove istituzioni sovranazionali disegnate alla Convenzione europea saranno capaci di esprimere un atteggiamento comune, che torni a basarsi sull’idealismo wilsoniano proprio anche della storia europea, e riconsolidando l’alleanza con gli Usa”.
Così lei disegna una soluzione in tempi lunghi, forse anni. “Per questo sono molto preoccupato. L’Europa rischia di restare a lungo nelle attuali condizioni, cioè ai minimi della sua capacità d’influenza delle vicende internazionali. Mentre Chirac ha un forte interesse a iniziative internazionali a forte contenuto polemico per distogliere l’attenzione dai problemi interni e la Germania è in condizioni critiche”.
E Washington? “Continuerà nell’agenda delle sue nuove priorità disegnata dall’11 settembre, e imperniata sul diritto all’intervento preventivo che l’Europa, ferma al principio westfaliano della non ingerenza negli Stati nazionali, stenta a capire. La prossima tappa è la road map, la soluzione del problema israelo-palestinese, necessaria per il consenso dei paesi arabi moderati”.
Con l’Europa in primo piano? “Non direi”. In Europa alcuni intanto pensano che il calo del dollaro sia una vendetta Usa. “Che sciocchezza. Il rafforzamento dell’euro dipende dalla linea seguita dalla Bce, non dall’America. In assenza di una sterzata della Bce l’euro può anche arrivare a 1,40 sul dollaro. Gli americani invece stanno abbassando la saracinesca al reciproco processo di integrazione con le imprese europee. Fusioni e acquisizioni tra le due rive dell’Oceano, a cominciare dai settori strategici delle telecomunicazioni e delle nuove tecnologie, vengono bloccate. E’ un fenomeno di cui vedo pochi avvertiti, per il momento. Ma sarà dura”. Un errore che pagheremo a lungo… “La salvezza può venire solo dalla Convenzione, sulla linea Giscard-Amato”.
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