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(WSI) – Sicuramente è solo una coincidenza che lunedì le Borse abbiano vissuto una giornata di gloria nel giorno di Halloween. Ma chiedersi se per gli investitori sia stato più un dolcetto o uno scherzetto, è un rebus ancora da decifrare. Ad esempio, si sono viste al rialzo blue chip prima strapazzate a seguito di profit warning. Un elemento che rafforza il dubbio (non la certezza) che la brillante seduta sia stata solo un atto dovuto, un semplice rimbalzo tecnico – per dirla da graficisti – frutto più di ricoperture di shorter sazi di profitti, che non di vero denaro.
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Del resto, già il 24 ottobre scorso, un’altra seduta particolarmente positiva aveva spinto i rialzisti a decretare la fine della correzione, salvo doversi ricredere il giorno dopo. Il sospetto è che le ansie dei mercati abbiamo radici più profonde, e quindi più durature, di quanto si vorrebbe credere. O desiderare. Vale la pena di ricordare una regola: i mercati azionari fiutano il vento con sei-nove mesi di anticipo. Non si capirebbe altrimenti il motivo per cui le Borse hanno dovuto perdere parecchi punti percentuali prima di mostrare una timida e incerta reazione. Se finora ogni spiegazione rimandava a fisiologiche prese di beneficio, oggi quel refrain non vale più.
Un discorso che riguarda soprattutto l’Europa dove il decoupling rispetto a Wall Street, vissuto per parte del 2004 e nel 2005, non ha retto agli ultimi ribassi. Proprio le percentuali della correzione testimoniano come fra le due sponde dell’Oceano sia in atto un riequilibrio di performance, statisticamente del tutto normale nel lungo periodo. Per i più scettici, anzi, si tratterebbe solo di un prologo che troverà conferma nel 2006, quando il dollaro tornerà a indebolirsi sull’euro, spinto da motivazioni riconosciute dallo stesso Greenspan: deficit pubblico, debiti delle famiglie, bolla immobiliare (o almeno la sua schiuma). Chissà mai che Ben Bernanke, neogovernatore Fed in pectore, trovandosi in primavera un’economia in rallentamento (lo prevedono tutti, dopo dieci trimestri oltre il 3% come non accadeva dalla Seconda guerra mondiale), un’inflazione che punzecchia e tassi già al 4,5%, non arrivi a considerare proprio il dollaro debole una terapia.
In ogni caso, che la campanella di Wall Street torni a dominare sui mercati azionari (tralasciando per complessità di analisi il Giappone) non è una buona notizia. Il motivo è presto detto: il Dow Jones non è più in bull market dall’aprile del 2004. Resistono, seppur con spazi ridotti, i minimi crescenti di S&P500; infine, i massimi del Nasdaq Composite vanno allineandosi. Un quadro tecnico che dipinge uno scenario (probabilistico) più di distribuzione che di accumulazione. Detto questo, è il caso di ribadire, che i livelli raggiunti dai mercati europei non sono tali da giustificare fughe scomposte, rientrando in quella che viene ancora definita una correzione bullish compatibile. E che la perdita eventuale di qualche altro punto percentuale non modificherà lo scenario.
Chi si è già allacciato le cinture di sicurezza (liberandosi di qualche fardello, in ottica di money management) è bene che le mantenga. Sapendo che, a fronte di scenari macro di medio periodo un po’ più foschi (ma chissà mai che l’Asia non diventi una locomotiva capace di camminare sulle sue gambe) con ogni probabilità entro una o due settimane i mercati entreranno in clima natalizio. Periodo rock, non lento.
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