Tiscali, inteso come villaggio nuragico, è lì, piazzato al centro della Sardegna da molto prima che esistesse Internet e che Renato Soru lo trasformasse in un logo della New Economy. Probabilmente sarà ancora al suo posto quando anche la Grande Rete e i suoi alfieri saranno materia per gli archeologi. Altrettanta capacità di resistenza non sembra mostrarla l’azienda omonima che pure dopo sette anni di vita si trova di fronte due missioni di ben maggiore attualità: sopravvivere alla scelta del suo creatore di “prestarsi” alla politica e rimanere l’Internet provider europeo indipendente, capace di competere alla pari con concorrenti che hanno alle spalle gli ex monopolisti.
A dire il vero i destini di Tiscali e di Soru sembrano già divergenti. La prima combatte con le quotazioni ai minimi storici (3,14 euro) e con le perplessità di broker e analisti, il secondo affronta la campagna elettorale per diventare governatore della Sardegna da favorito e dopo aver ottenuto quasi tutto quello che voleva: l’intero centrosinistra dietro di lui (dalla Margherita a Rifondazione), ma con i partiti un passo indietro, concordi nel lasciare spazio alla sua lista civica «Sardegna insieme» composta da sole donne.
L’uscita del bocconiano di Sanluri (Cagliari) dagli incarichi operativi (è tuttora presidente e maggior azionista con il 30%) ha segnato per Tiscali la fine del tempo delle promesse di futura redditività. Il suo successore, l’olandese Ruud Hiusman, presentando i conti del primo trimestre 2004, ha confermato le tendenze che da sempre caratterizzano la gestione di Tiscali: fatturato in crescita a 267,1 milioni di euro (+26%) e una contrazione della perdita lorda a 51,8 milioni (-39%), il tutto dopo aver chiuso il 2003 per la prima volta con un margine lordo positivo (Ebitda a 74,7 milioni di euro su un fatturato di 902 milioni dopo il “simbolico” milione registrato nel 2002).
Risultati che non bastano più: dopo cinque anni di quotazioni preoccupa una società che brucia 58 milioni di euro in soli tre mesi, e che sarà costretta ad un aumento di capitale da 120-150 milioni per coprire le perdite (l’assemblea sarà convocata a giugno) e che ora dovrà anche iniziare e ripagare i bond in scadenza: 72 milioni a luglio a 250 nel 2005. La cassa inizia a vedere il fondo: 150 milioni di disponibilità dichiarate da rimpinguare con delle dismissioni (100 milioni) e con l’aumento di capitale.
La possibilità di una crisi di liquidità (cioè che si trovi a sopportare un esborso superiore alle sue disponibilità attuali) agita i sonni degli azionisti e fa ballare parecchio il titolo (-34% dall’inizio dell’anno). La domanda ovvia è: se Soru fosse rimasto in sella l’atteggiamento del mercato sarebbe stato più benevolo? La risposta degli analisti è unanime e negativa.
Tutti puntano il dito verso indicatori precisi, l’Arpu per esempio, cioè quanto Tiscali incassa per ogni abbonato alla banda larga che è molto inferiore a quello di Telecom Italia: 23 euro contro i 26 dell’ex monopolista. Ciò significa che pur aumentando i clienti di questo segmento (il più redditizio), ormai arrivati a 1,3 milioni, la loro redditività è troppo bassa. Così come, indipendentemente da chi sia il vero capo di Tiscali, il problema è che una società con oltre 600 milioni di euro di debiti lordi, in crescita per via dei passivi di gestione, diventa molto meno sicura se il costo del denaro è previsto in crescita rapida.
Ma non ci sono solo cattive notizie, per esempio la prestigiosa banca d’affari Morgan Stanley ha “regalato” al provider sardo un rimbalzo di quasi il 10% del titolo. Gli analisti americani consigliano di comprare Tiscali dopo tre anni di giudizio opposto con questa motivazione: «Il mercato è troppo preoccupato di una trappola di liquidità che a nostro avviso non si verificherà. Non possiamo escludere un aumento di capitale nell’ambito di un pacchetto di misure per rifinanziarsi, ma pensiamo che l’impatto sia ormai nel prezzo».
Tra le note positive c’è anche chi vede il cambio della guardia come utile a facilitare un nuovo corso, che chiuda definitivamente il periodo delle acquisizioni (le ultime risalgono ormai ad un anno fa) per inaugurare una politica di bilancio rigorosissima con le dismissioni non-core come quelle già in programma in Svizzera, Sud Africa, Svezia e Norvegia. Anche dentro l’azienda ormai è netta la sensazione che Tiscali abbia trovato la sua dimensione e dentro l’attuale perimetro debba finalmente iniziare a produrre utili.
Lo dimostra la scarsa convinzione con cui si parla di possibile espansione nei nuovi paesi dell’Unione (sarebbe un omaggio indiretto a Soru che in Repubblica Ceca fondò il suo primo internet provider). Il piano industriale pone al 2005 il traguardo per il primo bilancio in utile, fin lì il percorso sembra abbastanza obbligato, che ci sia Huismann o un altro alla guida. Nelle sale operative si parla anche di cosa capiterebbe se quell’obiettivo venisse mancato: la conclusione è che i compratori non mancherebbero.
A quel punto Soru sarebbe chiamato all’ennesima scelta: tagliare definitivamente il cordone ombelicale con la sua creatura o rimettersi sulla plancia di comando. Molto dipenderà dall’esito delle urne del 12-13 giugno e dal successo della sua parentesi da governatore. «Non voglio fare carriera politica» ha dichiarato più volte. Tra cinque anni, ci sarà ancora Tiscali ad aspettarlo?
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