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Thailandia: premier donna, neofita e sorella del Berlusconi di Bangkok

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BANGKOK – BANGKOK – Il giorno dopo il trionfo elettorale del Puea Thai guidato da Yingluck Shinawatra, il clima politico nel Paese sembra improntato alla riconciliazione: l’esercito ha fatto sapere di accettare il risultato delle elezioni e l’ex premier Thaksin – fratello di Yingluck e deposto da un golpe nel 2006 – ha rassicura di non voler tornare al potere, mentre la sorella annuncia l’intenzione di formare un governo di coalizione con altri quattro partiti minori. “L’esercito accetta i risultati delle elezioni e posso annunciare con chiarezza che non abbiamo mai accarezzato l’idea di fare alcunché possa danneggiare il Paese”, ha detto il ministro della Difesa uscente, generale Prawit Wongsuwan, rimuovendo il timore che le influenti forze armate – la cui ostilità a Thaksin non è un segreto – contemplassero un intervento diretto di fronte a un successo di Yingluck. La Borsa thailandese ha reagito facendo impennare l’indice di 5 punti percentuali, a riprova della futura stabilità intravista dagli investitori. Da Dubai, dove vive in autoesilio, Thaksin ha inoltre moderato ulteriormente i toni di fronte al timore dei suoi oppositori che la sorella Yingluck sia solo un momentaneo prestanome in vista del suo ritorno.

“Non voglio essere primo ministro. Sono stato in politica troppo a lungo e voglio andare in pensione. La priorità è la riconciliazione”, ha detto Thaksin (61 anni), che prima del voto aveva assicurato ai suoi sostenitori di voler tornare in Thailandia entro fine anno, per partecipare al matrimonio della figlia. Se tornasse in patria, l’ex premier – che segue attivamente i suoi interessi economici in Europa e in Africa – dovrebbe scontare una pena a due anni di reclusione per corruzione, e troverebbe con ogni probabilità l’opposizione dell’establishment. Nel frattempo, il probabile futuro primo ministro Yingluck (pronunciato “iing-lak”) ha annunciato di aver trovato un accordo preliminare per la formazione di un governo di pentapartito, che le consentirebbe di ampliare la sua maggioranza dai 265 seggi conquistati dal Puea Thai a una più comoda quota di 299 seggi su 500. Il primo ministro uscente Abhisit Vejjajiva, che nella serata di ieri aveva riconosciuto la sconfitta, si è dimesso questa mattina dalla guida del Partito Democratico, che in Parlamento potrà contare solo su 159 seggi.

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È un voto per il cambiamento e una sonora bocciatura per l’establishment: dopo sei anni di tensioni e violenze di piazza, la Thailandia ha scelto di tornare a essere governata dal campo fedele all’ex premier Thaksin Shinawatra, la cui sorella Yingluck è ora sulla via di diventare la prima donna di sempre alla guida del Paese.

Il premier Abhisit Vejjajiva ha riconosciuto la sconfitta e il diritto della rivale a formare un governo. Con quasi la totalità dei voti scrutinati, al Puea Thai (“Per i thailandesi”) di Yingluck vengono assegnati 262 seggi parlamentari sui 500 in palio, mentre i Democratici di Abhisit si fermano a quota 160. Per consolidare la maggioranza assoluta ottenuta dal partito, ha già detto Yingluck, il Puea Thai cercherà però l’appoggio di uno o due partiti minori, nel tentativo di portare dalla sua parte un’altra trentina di seggi. La decisione si è resa necessaria dopo la progressiva erosione della valanga di voti prevista dagli exit poll iniziali, che prevedevano oltre 300 seggi per il partito finanziato da Thaksin dal suo autoesilio a Dubai e sostenuto dalle «camicie rosse» protagoniste delle proteste di Bangkok nel 2010.

«Il popolo mi ha dato una possibilità, io farò del mio meglio e lavorerò per l’unità e la riconciliazione», ha dichiarato la fotogenica Yingluck (44 anni), fino a due mesi fa una manager a digiuno di politica, mentre nella sede del partito centinaia di sostenitori esultavano per la vittoria. La donna ha confidato di aver ricevuto una telefonata di congratulazioni dal fratello, che ha menzionato «il duro lavoro che abbiamo ancora davanti». Il trionfo sopra le aspettative della vigilia riduce le possibilità di interferenze dell’establishment giudiziario-militare, già decisivo nel 2008 per portare al potere un Abhisit mai eletto. Ma colpi di coda non si possono escludere: negli ultimi anni i giudici hanno già sciolto due governi pro-Thaksin, interdicendo dalla politica 250 deputati a lui fedeli. L’irrisolta questione di confine con la Cambogia in merito al tempio conteso di Preah Vihear, che ha causato 28 morti in scaramucce tra febbraio e maggio, è inoltre una potenziale carta da giocare per i nazionalisti nel caso il governo Yingluck venisse accusato di essere debole.

Dati gli opposti sentimenti che Thaksin ispira tra due campi sempre più radicalizzati, il vero test per la futura stabilità sarà il ritorno o meno in patria dell’ex premier, deposto da un colpo di stato nel 2006 e inseguito da un’accusa di terrorismo per aver sostenuto le manifestazioni di piazza dell’anno scorso, conclusesi dopo una repressione militare costata 91 morti e 1.800 feriti. Prima delle elezioni, la sorella Yingluck aveva proposto un’amnistia che permetterebbe al fratello di tornare in patria senza scontare i due anni a cui è stato condannato per corruzione mentre era in autoesilio: l’argomento è un tabù per l’altro campo. Parlando dopo il voto, Thaksin è sembrato però oggi frenare sul suo ritorno, che aveva promesso entro fine anno. «Aspetterò il momento giusto. Voglio essere una soluzione, non un problema», ha detto l’ex premier, amato dalle classi medio-basse e nelle aree rurali ma odiato dall’elite della capitale, che lo considera una minaccia per la monarchia. Intanto, per le prime, oggi è tempo di festeggiare.

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Seppure sono stati smentiti i primi exit poll in Thailandia che attribuivano un netto vantaggio al partito di opposizione Puea Thai e alla sua candidata Yingluck Shinawatra, sorella del magnate ed ex premier Thaksin in esilio a Dubai, la leader del partito che ha ispirato le “Camice rosse”, ha vinto comunque le elezioni in Thailandia. Fra i 290 e i 320 seggi su 500 totali, dicevano le previsioni. Ma la situazione è rimasta incerta con lo spoglio dei seggi che ha visto una rimonta dei Democratici del premier Abhisit Vejjajiva.

Quest’ultimo, però, ha rotto gli indugi ed ha riconosciuto la sconfitta, complimentandosi con la sorella dell’ex premier in esilio Thaksin. Nel riconoscere la vittoria dell’opposizione nelle elezioni di oggi, il primo ministro thailandese Abhisit Vejjajiva si è congratulato con Yingluck Shinawatra che diventerà il “primo premier donna” nella storia del Paese. Con l’81 per cento delle preferenze scrutinate, al partito Puea Thai guidato da Yingluck vengono assegnati 254 seggi su 500, contro i 168 dei Democratici di Abhisit.

Il primo ministro thailandese, Abhisit Vejjajiva, ha ammesso la sconfitta: “Il risultato è chiaro”, ha detto Absihit. “Darò l’opportunità a Yingluck di formare il governo”, ha aggiunto Absihit, “Voglio unità e riconciliazione, i Democratici sono pronti a stare all’opposizione”.

“Non voglio dire che ha vinto il Phue Thai, ma che il popolo thailandese ha dato al Phue Thai l’opportunità di guidare il paese”. ha detto, dal canto suo, la leader del partito di opposizione ‘Per i thailandesi’ e candidata primo ministro, Yingluck Shinawatra.

Il voto arriva dopo sei anni di scontri politici e di piazza che hanno diviso il Paese. I sostenitori di Thaksin, deposto da un golpe militare nel 2006, riprendono così il potere attraverso le urne dopo la fallita rivolta dell’anno scorso che paralizzò Bangkok facendo 90 morti e 2mila feriti. Il Puea Thai sembrava aver fatto incetta di voti in tutti i seggi disponibili nei collegi del nord-est, la roccaforte delle “camicie rosse” e fra le aree più povere della Thailandia, ma anche in gran parte di quelli nel nord e del centro. I Democratici del premier Vejjajiva perfino nella capitale accusavano il colpo conquistando appena 28 seggi su 61. L’unica zona sicuramente nelle mani dei Democratici restava il ricco sud, da sempre ostile a Thaksin.

Da Dubai, il magnate si è congratulato con la sorella per quella che sembrava una vittoria schiacciante e che comunque si è rivelata un successo. “Tutti i partiti devono accettare la decisione popolare altrimenti il nostro Paese non potrà avere pace”, aveva avvertito parlando alla tv Pbs da Dubai. Non escludendo un suo rientro in patria: “Voglio tornare in Thailandia, ma aspetterò il momento giusto”. Sul suo capo pendono infatti le accuse di corruzione, a cui si è aggiunta un’incriminazione per terrorismo per le violenze di piazza dello scorso anno.