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(WSI) – Anche a cena non si parla d’altro.
La scelta su dove destinare il Tfr (trattamento di fine rapporto, un tempo chiamato liquidazione) è diventata l’argomento principale di conversazione.
Perché è anche una scelta di vita per 11 milioni di lavoratori dipendenti: più della metà, secondo un sondaggio di Panorama (vedere grafici sotto), pensa di voler incassare la vecchia liquidazione. L’alternativa? Puntare sui fondi pensione per ottenere una rendita aggiuntiva a quella pubblica. I giovani lavoratori infatti prenderanno pensioni inferiori al 50 per cento rispetto all’ultimo stipendio (vedere tabella pagina seguente).
Un vero dilemma. Per scioglierlo Panorama ha chiesto la consulenza di due esperti del settore previdenziale: Giuliano Cazzola, presidente del collegio dei sindaci dell’Inps, e Sergio Corbello, presidente dell’Assoprevidenza, il centro tecnico di supporto per gli operatori dei fondi pensione.
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1) Che succede dal 1° gennaio al 30 giugno 2007? Cos’è il Tfr, quanto vale, quanto rende e cosa avviene alla liquidazione maturata al 31 dicembre 2006?
Entro fine giugno i lavoratori dipendenti delle aziende private possono scegliere se rimanere nel vecchio regime del Tfr o se preferiscono investire i nuovi accantonamenti in una forma di previdenza integrativa (fondi pensione chiusi, aperti, polizze individuali). Il Tfr è pari al 6,91 per cento della retribuzione lorda annua. Le somme di Tfr maturate al 31 dicembre 2006 restano nella disponibilità del datore di lavoro e saranno corrisposte al lavoratore, alla fine del rapporto di lavoro, secondo il meccanismo previsto dalla legge. Cioè con una rivalutazione annua pari al 75 per cento dell’inflazione più 1,5 punti: questo significa che negli anni di bassa inflazione (fino al 6 per cento) il Tfr rivalutato copre il carovita.
In questi sei mesi, se il lavoratore non dice niente, scatta la procedura di cosiddetto silenzio-assenso: il Tfr maturando finisce in una forma di previdenza complementare secondo una gerarchia prevista dalla legge: dapprima nei fondi chiusi collettivi (nazionali o anche di carattere aziendale); poi nei fondi a cui aderisce la maggioranza dei lavoratori di quell’azienda; alla fine, se non trova una collocazione, in un fondo residuale a capitalizzazione presso l’Inps, che deve essere ancora costituito.
2) Qual è la differenza tra le aziende con più o meno di 50 dipendenti? E cambierà il rendimento del Tfr conferito al Fondo di tesoreria dello Stato, amministrato dall’Inps?
Per i lavoratori non ci sono differenze. Le regole e i rendimenti restano gli stessi. «Chi lascia il Tfr in azienda continuerà a vedersela col proprio datore per quanto riguarda sia le anticipazioni sia la riscossione», spiega Cazzola. La nuova disposizione riguarda unicamente i rapporti tra azienda e Inps: i datori di lavoro con almeno 50 dipendenti devono versare il Tfr inoptato (lasciato in azienda secondo il vecchio regime) mese per mese al fondo, amministrato dall’Inps, destinato a finalità pubbliche.
Ma alla fine del rapporto di lavoro saranno comunque le aziende a compensare i conti con l’Inps, versando il Tfr rivalutato ai lavoratori. Nelle imprese con meno di 50 dipendenti non cambia nulla.
3) Come funzionano i fondi pensione? Sono sicuri?
I fondi pensione sono di due tipi: quelli chiusi, chiamati anche negoziali perché istituiti dal negoziato tra aziende e sindacati dei lavoratori; e quelli aperti, proposti da banche, compagnie di assicurazioni, società finanziarie. Inoltre, il Tfr può anche essere destinato alle polizze delle compagnie di assicurazione.
Sulla sicurezza Corbello dice: «Il sistema di garanzie strutturali dei fondi italiani è molto buono, il sottoscrittore è sicuro grazie al controllo generale della Covip, la commissione di vigilanza, e a quello specifico dei collegi dei sindaci. Inoltre gli amministratori sono professionalmente qualificati e c’è una banca depositaria per cui le risorse non sono mai in mano ai gestori, che sono strettamente controllati dalla banca depositaria stessa. Insomma, in Italia con i fondi non appaiono possibili i crac truffaldini dei fondi pensione tipo Maxwell o Enron».
A fronte di questa sicurezza strutturale, c’è però un rischio di risultato: i fondi pensione investono sui mercati finanziari e il loro rendimento, per definizione, non è garantito.
4) Quanti lavoratori sono iscritti ai fondi, quanti aderiranno? Quanto si deve versare? E quanto costano?
Alle forme di previdenza integrativa aderiscono poco più di 3 milioni di lavoratori dipendenti e autonomi (su un totale di 23 milioni di occupati in Italia) e in tutto fondi e polizze equiparate gestiscono risorse per circa 46 miliardi di euro. L’arrivo del Tfr dovrebbe moltiplicare le masse gestite: il flusso per quest’anno è calcolato in 19 miliardi. Ma, secondo il sondaggio di Panorama, meno del 20 per cento dei lavoratori intende mettere il Tfr nei fondi, la metà di 40 per cento di adesioni auspicato dal ministro del Lavoro Cesare Damiano.
A vantaggio dell’iscrizione nei fondi negoziali gioca il contributo del datore di lavoro, stabilito dalla contrattazione collettiva: mediamente circa il 2 per cento della retribuzione (altrettanto, di solito, versa il lavoratore, che può aumentare la sua quota). Anche i costi dei fondi negoziali sono più bassi, in media lo 0,45 per cento annuo, mentre i fondi aperti vanno da 1,3 a 1,9 per cento, e le polizze d’investimento previdenziale sono più care, con commissioni dall’8,1 per cento sui primi 3 anni fino al 2,3 per cento medio su durate di 35 anni.
5) Fino a che livello i versamenti nei fondi pensione sono deducibili? Quanto incide la tassazione sul Tfr? E sui fondi pensione?
In totale sono deducibili 5.164 euro all’anno, esclusi i versamenti provenienti dal Tfr. Il regime fiscale favorisce i fondi: infatti la tassazione sul Tfr è pari all’aliquota media marginale del lavoratore negli ultimi cinque anni, quindi da un minimo del 23 per cento a un massimo del 43 per cento (la media è intorno al 33 per cento).
Invece con i fondi pensione le prestazioni sono tassate in forma separata con un’aliquota secca del 15 per cento riducibile al 9 per cento nel tempo (la riduzione è dello 0,3 per cento annuo dopo i 15 anni d’iscrizione al fondo), sia sulle rendite sia sul capitale.
6) Quanto hanno reso il Tfr e i fondi pensione negli ultimi anni?
Da gennaio 2003 a settembre 2006 il Tfr ha avuto una rivalutazione del 10,3 per cento: circa la metà rispetto ai fondi pensione chiusi che hanno dato mediamente il 19,8 per cento e i fondi aperti che hanno reso ancora meglio, in media il 23,9 per cento.
7) Quali sono i consigli per scegliere la linea d’investimento del fondo pensione più adatta? Quanto si può ottenere come rendita? Si può avere dal fondo il capitale anziché la rendita?
In generale i lavoratori scelgono linee d’investimento molto tranquille. «Un lavoratore giovane però avrebbe convenienza a scegliere linee più dinamiche» avverte Cazzola. La Covip calcola che versando il 9,25 per cento della retribuzione per 30-35 anni è possibile conseguire una pensione privata pari al 16-17 per cento dell’ultima retribuzione.
Corbello aggiunge: «Secondo una regola empirica, l’1 per cento della retribuzione messo in un fondo pensione per 35 anni dovrebbe dare oltre il 2 per cento del reddito finale, quindi sarebbe saggio mettere il 10 per cento (tutto il Tfr più un 3 per cento tra versamento del lavoratore e contributo del datore di lavoro) per arrivare a una pensione integrativa oltre il 20 per cento dell’ultimo stipendio».
La rendita del fondo viene erogata al pensionamento: occorre avere maturato l’età per la pensione e aver versato almeno per cinque anni al fondo. A chi ha meno di cinque anni d’iscrizione, viene dato il capitale rivalutato. È comunque possibile farsi liquidare il 50 per cento di quanto maturato in capitale anziché in rendita (il capitale può arrivare al 100 per cento per gli iscritti ai fondi prima del 1993).
8) Molti si fidano poco dell’Inps: è un rischio concreto? Cosa succede se si cambia lavoro, rispetto al Tfr versato nel fondo? C’è la possibilità di cambiare idea dopo la scelta?
Sul Tfr trasferito all’Inps Cazzola ammette che «la trovata è senza dubbio un fattore di turbativa perché crea confusione. Ma per il lavoratore non ci sono problemi. E le aziende riceveranno delle compensazioni di carattere contributivo e fiscale». Per chi cambia lavoro la posizione nel fondo pensione è portabile altrove: quindi si può passare da un’azienda all’altra rimanendo nello stesso fondo, oppure anche cambiare fondo. Chi decide di tenere il Tfr in azienda può cambiare idea in qualsiasi momento. Viceversa, chi aderisce alla previdenza complementare dopo due anni può cambiare tipo di fondo, ma non può tornare al regime del Tfr.
9) Si può continuare a chiedere l’anticipo sul Tfr, anche se è trasferito all’Inps? E quali sono invece le regole per avere l’anticipo sui fondi pensione?
Le norme sull’anticipo del Tfr non cambiano: si può ottenere al massimo il 70 per cento di quanto accumulato, dopo otto anni, per acquisto della casa o spese mediche, una sola volta durante il rapporto di lavoro. Con i fondi pensione c’è una maggiore flessibilità. Per le spese mediche l’anticipo è possibile da subito, e fino al 75 per cento. Inoltre, dopo otto anni di iscrizione ai fondi si può chiedere fino al 75 per cento per l’acquisto della casa e da quest’anno si può chiedere fino al 30 per cento per esigenze personali.
10) Meglio, in definitiva, la vecchia liquidazione o il fondo pensione?
Secondo Cazzola, «per tanti motivi (contributo del datore, bonus fiscale, rendimenti) è più conveniente aderire a un fondo pensione, a meno che non si tratti di un lavoratore anziano ormai prossimo alla pensione». Corbello aggiunge: «Deve esserci una valutazione sul futuro previdenziale.
Se un lavoratore è prossimo alla pensione, con una buona copertura, il suo bisogno di previdenza complementare è basso: ha l’opportunità di destinare il Tfr ai fondi pensione solo per avere un guadagno fiscale e sui rendimenti. Invece un giovane ha la necessità della previdenza complementare, per integrare la pensione pari al 50 per cento dell’ultimo stipendio che prenderà, nel migliore dei casi, quando smetterà di lavorare».
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