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Tfr in busta paga: l’atto disperato di Renzi

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ROMA (WSI) – Con i conti pubblici che traballano sempre di più, il debito in drammatica ascesa e la domanda interna ad un passo dal trapasso, abbiamo letto che Renzi avrebbe pensato di stimolare l’economia erogando in busta paga il 50% del Tfr a maturare.

Cosa ne penso? Ne penso che è un atto disperato, anzi disperatissimo, che racconta perfettamente il vicolo cieco nel quale è precipitata l’Italia.
Certo, in cuor al governo ci sarebbe la speranza che questa partita di giro (cioè prendi oggi quel che dovresti prendere domani) venga utilizzata per aumentare la spesa dei consumi. Oppure per pagare le tasse che verranno. Dipende da come la si vuole vedere.

Ogni anno, in Italia, maturano circa 25 miliardi di TFR. Di questi, 5.2 confluiscono nella previdenza complementare; altri 6 vengono versati dalle imprese con più di 50 dipendenti nel fondo di tesoreria dell’Inps; mentre, i restanti 14 miliardi restano in azienda, salvo una parte di questi che vengono convogliati nella previdenza complementare: i così detti fondi aperti. E’ ineludibile il fatto che per le imprese, il TFR che rimane in azienda, costituisca una fonte di finanziamento particolarmente vantaggiosa, considerato che il TFR viene rivalutato dell’1,5% fisso all’anno, maggiorato del 75% della variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo. In pratica, volendo considerare il fatto che l’Italia è in deflazione, potremmo dire che il costo sostenuto dall’azienda potrebbe essere di poco superiore all’1,5%, di gran lunga inferiore rispetto al finanziamento derivante dai canali bancari

Al netto del fatto (gravissimo) che questa misura, ove resa effettiva, sarà destinata ad impattare sulle finanze di moltissime imprese, già alle prese con gravi deficienze di liquidità per via del credit crunch che rischia di aggravarsi, al fine di evitare di far esplodere una situazione già complessa di suo, sembrerebbe che Renzi voglia utilizzare proprio i canali bancari per fare in modo che le imprese possano finanziarsi attraverso il sistema bancario, e quindi erogare il TFR in busta paga.

Questa possibilità è resa ancor più esaltante (per detta dello stesso Presidente del Consiglio) per via della liquidità che la BCE ha messo a disposizione del sistema bancario alla recente asta Tltro. Quindi, Renzi si sarà detto: “la Bce sta concedendo finanziamenti alle banche a tasso praticamente nullo, perché non utilizzare questa liquidità per smobilizzare il TFR che verrà a maturare?”

Ma, purtroppo, la fantasia di chi soffre di asimmetria cognitiva rispetto alle catastrofiche condizioni in cui versano molte imprese, è destinata a scontrarsi con la realtà. E la realtà è assai più complessa di ciò che potrebbe immaginare il Presidente del Consiglio.

Vi è innanzitutto un problema di garanzie. Per via della crisi della crisi, moltissime imprese hanno visto diminuire il merito creditizio che rappresenta elemento valutativo prioritario quando si vorrebbe accedere a fonti di finanziamento bancario. Addirittura, molte imprese hanno subito una drastica riduzione di fidi. Quindi, qualora non siano affidabili per il sistema bancario, che si fa? Per renderle affidabili, la garanzia la mette lo stato? Neanche per sogno, visto che ciò impatterebbe sullo stock di debito pubblico, per via dell’inclusione delle garanzie concesse.

E questo, di per se, scoraggia di molto la soluzione prospettata da Renzi. Altra questione è quella relativa ai costi. Abbiamo detto che il Tfr, in buona sostanza, per l’impresa rappresenta una fonte di finanziamento particolarmente conveniente. A voler essere generosi, è chiaro che la banca praticherà condizioni significativamente superiori rispetto al costo che l’azienda sostiene per la rivalutare il TFR. Quindi, un maggiore onere per le imprese, che andrebbe a ridurre ulteriormente la redditività aziendale, già significativamente contratta per via della crisi. Lo stato potrebbe intervenire facendosi carico del maggior onere sostenuto dalle imprese? Tenderei ad escluderlo. Anche perché, come dicevamo, i conti, che ballano sempre a ridosso del famigerato 3% di deificit/Pil, non lasciano spazio a gesti di generosità

Certo, c’è da dire che l’erogazione in busta paga del TFR, oltre a poter stimolare i consumi, per l’erario diverrebbe anche una fonte anticipata di gettito tributario, che potrebbe contare sulla base imponibile del TFR erogato e sull’Iva derivante dai possibili consumi. Ma il gettito, con ogni probabilità, non sarebbe neanche sufficiente a colmare il buco che si aprirebbe nelle casse dell’Inps, per via del fatto che diminuirebbe il flusso di risorse da convogliare nelle casse dell’Ente.

Poi, ci sarebbe da considerare anche il fatto che, con ogni probabilità, il TFR in busta paga non verrà destinato al risparmio (come peraltro spera il Governo), con enormi (e imprevedibili) risvolti sul futuro di chi (apparentemente) godrà di questa misura.

Qualche giorno fa, il Codacons ha fatto sapere che 19 milioni di italiani (1/3 della popolazione) risultano morosi nei confronti delle aziende erogatrici di servizi (luce, acqua, gas, ecc) per un totale di circa 18 miliardi di euro.
Forse, potremmo azzardare l’ipotesi che, almeno parte del il TFR in busta paga, verrà destinato a pagare utenze, tasse e imposte scadute e non ancora pagate.

Ma il punto non è tanto questo, quanto il fatto che questo viene fatto a debito: cioè contraendo un debito con il futuro, quando (?) si sarà in età pensionabile, con pensioni da fame che non garantiranno affatto standard di vita dignitosi. In questo caso, chi ha goduto e speso il TFR , non avrà alcun altra forma di sostegno al reddito (da fame) derivante dalla pensione.

Insomma, un atto disperato, appunto.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Vincitori e Vinti – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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