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(WSI) – Ottobre 2000: Corning compra da Pirelli la Optical Tecnologies (OT) a un prezzo stratosferico (3,4 miliardi, 165 volte il suo fatturato). Manna dal cielo per Pirelli; e 600 milioni di stock option per i manager. Due storie parallele si incrociano, e aiutano a comprendere le differenze tra il capitalismo americano e italiano; sfatando il luogo comune di un capitalismo familiare contro manager senza scrupoli e senza padroni.
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Corning viene fondata 150 anni fa da Amory Houghton. Fino al 1996, la guidano quattro generazioni di Houghton. L´ultimo, James, compiuti sessant´anni, lascia a favore di un manager esterno. Origini simili, quelle di Pirelli: fondata da Giovanni Battista nel 1872, passa al figlio, al nipote, e infine all´allora genero, Marco Tronchetti Provera, nel 1992. Corning e Pirelli hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo industriale dei rispettivi paesi. Corning si specializza nella ricerca e nelle applicazioni tecnologiche del vetro, rendendo possibile la produzione di massa della lampadina, del tubo catodico e della fibra ottica; Pirelli nella gomma, con innovazioni quali cavi elettrici isolati e telefonici, il pneumatico per auto, e il linoleum.
Sotto l´ultimo Houghton, Corning cresce stabilmente: il suo valore in borsa passa da 1, a quasi 8 miliardi nel 1996. Ma investe in settori tradizionali (stoviglie, strumenti medici e da laboratorio): il mercato premia invece nuove tecnologie e Internet. Così, il management che lo sostituisce, punta tutto sulla fibra ottica; ma vuole anche entrare nell´elettronica per la trasmissione della luce, una tecnologia che non possiede. Senza badare a spese, compra quindi società del settore per 10 miliardi. Una di queste, da Pirelli.
Anche Pirelli ha uno sviluppo regolare. Ma i tentativi di diversificare dai pneumatici e cavi, e di conquistare Continental si rivelano un fallimento. All´inizio del 1992, Leopoldo Pirelli affida il rilancio a Tronchetti Provera, che mette fine alla diversificazione, taglia i costi, si espande nei settori tradizionali di Pirelli (soprattutto cavi). Per Pirelli, l´arrivo della bolla è un´opportunità per fare cassa: cede OT alla Corning, e vende i sistemi ottici a Cisco, incassando in totale quasi 5 miliardi. Alla fine del 2000, si ritrova con 2,6 miliardi di liquidità in cassa: un terzo del suo intero valore di borsa.
Lo scoppio della bolla porta Corning sull´orlo del fallimento. Gli azionisti mandano via il management e richiamano il vecchio Houghton, che accetta senza richiedere azioni o stock option. Svaluta subito tutte le partecipazioni strapagate, con una perdita da 5 miliardi in un solo anno; lancia un aumento di capitale a prezzi stracciati; e torna a puntare sulle applicazioni tecnologiche del vetro. Dalla ricerca interna escono i cristalli liquidi per la tv a schermo piatto: diventa il primo produttore al mondo, e, in quattro anni, il valore di Corning passa da 1 miliardo, agli odierni 23 (Pirelli ne vale 4). Risanata la società, Houghton lascia, per dedicarsi al mecenatismo (coi soldi suoi, non dell´azienda).
Anche Pirelli subisce il fascino delle comunicazioni: nel luglio 2001 ipoteca tutta la liquidità della vendita di OT nell´acquisto del pacchetto di controllo di Telecom (allora Olivetti) a un prezzo spropositato. Un errore madornale. Ma Pirelli, a differenza di Corning, non svaluta la partecipazione per ripartire. Sono passati 4 anni e mezzo, e la holding Olimpia insiste nel mantenere i titoli Telecom in carico a 4,63 euro, il doppio del prezzo di mercato. La dimensione dei debiti del gruppo Telecom, è preoccupante. Olivetti deve lanciare un maxi aumento di capitale; poi si fonde con Telecom, che si fonde con Tim, per utilizzare i suoi ricchi cash-flow a servizio del debito accumulato dal gruppo. Un vorticoso giro di operazioni finanziarie che lascia comunque Telecom con più debiti (44 miliardi) di quanti ne avesse all´inizio della gestione Tronchetti (42). Nonostante il taglio degli investimenti industriali per far cassa, da oltre 7 miliardi nel 2001, a una media di 4,9 nel triennio 2002-04. Una strategia e struttura finanziaria funzionali al mantenimento del controllo di Pirelli su Telecom. Che però non hanno fatto bene al titolo: anche considerando i dividendi, dal luglio 2001, ha perso il 35% rispetto all´indice dei telefonici europei, e il 46% rispetto alla borsa italiana.
Ma non ha fatto bene neanche a Pirelli: tra liquidità iniziale, aumenti di capitale, nuovi debiti e cessione dei cavi, raccoglie 6,2 miliardi, dei quali 5 travasati in Olimpia per una partecipazione che, a prezzi di mercato, oggi ne vale circa 1. E nel prossimo futuro dovrà far fronte alle opzioni put delle banche (circa 1 miliardo), e al possibile smobilizzo della quota Benetton (oggi 1,8 miliardi). Ma il controllo rimane nelle mani di Tronchetti, anche perché, in Italia, banche e relazioni contano: così Mediobanca, Intesa, Capitalia, Unicredito e Generali sono diventate azioniste a tutti i livelli della piramide societaria; e Pirelli, socio di Mediobanca e Capitalia.
I risparmiatori guardano sconsolati il grafico dell´andamento del titolo: se nel febbraio 1992, quando Tronchetti Provera prese la guida del gruppo, avessero venduto Pirelli per investire nell´indice di borsa, il loro patrimonio, oggi, sarebbe due volte e mezza superiore. Ma l´Italia non è l´America. E Pirelli non è Corning. Da noi, consiglieri di amministrazione e investitori non possono invitare il chief executive a passare il timone, soprattutto quando è “l´uomo-simbolo del nostro capitalismo e della sua trasformazione”. (Repubblica, 15/3/2005).
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