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TASSI: USA, IL DILEMMA DI ALAN GREENSPAN

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I membri del comitato direttivo (FOMC) della Federal Reserve sono convocati a Washington questa mattina alle 9 per l’ultima riunione dell’anno, ma l’atmosfera non sara’ quella che precede le feste.

Il presidente, Alan Greenspan, e gli 11 componenti che devono decidere la politica monetaria degli Stati Uniti, per la prima volta in dieci anni, dai tempi della Guerra del Golfo, si trovano a fronteggiare il pericolo che la frenata dell’economia possa trasformarsi in recessione.

Le indiscrezioni, circolate ieri a Wall Street, che questo pomeriggio la Federal Reserve annunci una riduzione dei tassi hanno spinto l’indice Dow Jones in un rally terminato con un guadagno di 210 punti.

Una possibilita’ che non convince i principali economisti, scettici di fronte alla prospettiva che la Banca centrale inverta la rotta saltando da un atteggiamento restrittivo a una riduzione dei tassi senza passare per un atteggiamento neutrale.

Si tratterebbe di un intervento d’emergenza, quasi come se Greenspan dovesse ammettere di aver calcato troppo la mano, lontano anni luce dal pensiero e dallo stile del leggendario presidente.

Il rallenamento della crescita economica e’ proprio quanto la Federal Reserve ha voluto con tenacia e determinazione, imponendo un aumento complessivo dell’1,75% del costo del denaro.

L’azione e’ stata condotta dal giugno del 1999 al maggio di quest’anno attraverso sei strette dei tassi d’interesse a breve (Fed Funds), arrivati cosi’ al 6,5%.

Una cura definita di lacrime e sangue, impopolare a Wall Street, ancora inebriata in una bolla speculativa, ma ritenuta da Greenspan indispensabile per protegere il dollaro dall’inflazione.

E’ stata la stessa Federal Reserve a segnalare nelle ultime settimane che l’economia sta rallentando, e che dunque ci sono i presupposti per abbandonare l’atteggiamento restrittivo.

La decisione a questo punto e’ solo sui tempi. Sino a ieri si dava per sconato che la riduzione dei tassi sarebbe arrivata a gennaio e che la riunione di oggi avrebbe chiuso il 2000 con una dichiarazione di vittoria sull’inflazione e un ‘bias’ neutrale.

Le indiscrezioni filtrate dalla stessa Federal Reserve hanno pero’ rivelato divisioni e nervosismo tra i membri del FOMC, e la componente ‘interventista’ e’ decisa a far sentire la propria voce.

L’ultima parola, come sempre, spetta ad Alan Greenspan che – per quanto navigato nel mestiere di primo banchiere centrale del mondo – si trova di fronte a una situazione non facile e per alcuni aspetti del tutto inedita.

L’economia americana e’ infatti profondamente cambiata dal 1990: il peso della tecnologia e’ diventato preponderante, il passo di crescita della produttivita’ ha messo in crisi consolidati modelli della teoria economica, le oscillazioni del mercato azionario esercitano un condizionamento senza precedenti sul quadro complessivo.

Mickey Levy, capo degli economisti di Banc of America Securities, e’ convinto che la Fed debba stare attenta a non incorrere in un errore tipico delle banche centrali, ovvero di credere che mantenendo i tassi fermi l’economia rimanga stabile.

“In una condizione in cui la crescita economica rallenta e la massa degli investimenti diminuisce, il rischio e’ che la Fed lasci i tassi cosi’ come sono – spiega Levy – Il mercato non puo’ agire da regolatore sostituendosi alla Banca centrale, senza il cui intervento la situazione e’ destinata a scappare di mano”.

Pur appartenendo alla corrente ‘interventista’, Levy e’ comunque convinto che oggi il FOMC non andra’ oltre una dichiarazione di neutralita’, rimandando a gennaio la riduzione dei tassi.

Una scelta – secondo alcuni economisti – di cui la Federal Reserve puo’ tranquillamente prendersi il lusso perche’ i tassi d’interesse che davvero contano per i consumatori e per le aziende, stabiliti autonomamente dal mercato, sono gia’ scesi sull’aspettativa che la Fed allenti la pressione sul costo del denaro.

“Il problema della Federal Reserve oggi e’ quello di convalidare una scelta che i mercati hanno gia’ fatto – ha dichiarato Patrick Jilek, direttore del dipartimento economico di Credit Suisse First Boston – non c’e’ fretta di tagliare oggi, basta che si sappia con certezza che questa e’ la direzione in cui la Banca centrale sta muovendo”.

Insieme a Greenspan e colleghi, oggi siede pero’ un convitato di pietra che preme per avere risposte subito: Wall Street. Il presidente della Federal Reserve infatti dovra’ ben soppesare l’impatto che la decisione di oggi avra’ sui mercati azionari.

Il crollo di molti titoli quest’anno ha allentato la pressione sull’economia, ma una riduzione repentina dei tassi, come il rally sul Dow Jones di ieri ha dimostrato, rischia di far tornare sui mercati ‘l’irrazionale esuberanza’ – secondo la definizione coniata dallo stesso Greenspan – che la Fed ha sempre voluto scoraggiare.

Sull’altro piatto della bilancia pesa la considerazione che abbandonare il mercato a se’ stesso – in una fase in cui la tendenza al ribasso e’ cosi’ pronunciata – rischia di innescare una spirale di negativita’ e sfiducia che finirebbe con il risucchiare investimenti, profitti aziendali e fiducia dei consumatori.

I problemi in campo sono chiari, ad Alan Greenspan, ‘Master of the Universe’, l’onere della soluzione.

Per una copertura completa vedi anche: Tassi: Usa, la Fed li lascia invariati al 6,5%, Usa: Clinton, non lascio in eredita’ la recessione, Tassi: un glossario per interpretare la Fed, Tassi: tutti gli uomini della Federal Reserve e Tassi: Usa, tutti i numeri all’esame della Fed .