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TASSI USA AL 5% SE IL BARILE NON FRENA

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(WSI) – «Se avessi ancora una poltrona alla Banca Centrale – spiega senza giri di parole Bill Ford, ex presidente della Federal Reserve di Atlanta – suggerirei ai miei colleghi di non esitare: i tassi d’interesse devono salire. Bisogna evitare che il rincaro dei prodotti petroliferi si diffonda come un virus attraverso l’intero corpo economico nazionale, innescando una spirale inflativa. Occorre tenere alta la guardia. So per certo che diversi membri della Fed sono seriamente preoccupati a causa della bolletta energetica».

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Mister Ford, per fortuna l’aumento degli oli combustibili non ha scoraggiato il consumatore americano, che al contrario si dimostra la trave portante di sempre. Lei come spiega la tenuta dei consumi?

Me la spiego notando che il prezzo delle benzine è in verità meno opprimente di quanto sembri.

In che senso?

Facciamo un confronto con gli anni ’70. Due sono gli elementi cruciali. Primo, nel 1973 in media un’automobile percorreva 13 miglia con un gallone di benzina. Oggi, includendo i grossi Suv, di miglia ne percorre 20. Un bel risparmio, no?

E il secondo punto?

Aggiungiamo che i redditi sono cresciuti più rapidamente del carovita. Sicché, oggi il tipico consumatore americano deve lavorare meno della metà di allora per acquistare un gallone di carburante. Insomma, quando si fa il pieno, certo che ci scoccia pagare di più, ma alla fine chi se ne importa. È ancora una cosa ragionevole.

Nelle sue decisioni di politica monetaria, la Federal Reserve fa riferimento all’inflazione tendenziale, cioè esclude proprio l’energia e gli alimentari. La giustificazione addotta è che si tratta di componenti volatili. Altri la ritengono però una scelta superata in quanto energia e alimentari sono orientati stabilmente al rialzo. Sono la fonte dei rischi. E non si può far finta di nulla. Qual è la sua opinione?

Le potrei rispondere con una battuta: Alan Greenspan trascura il costo della benzina perché ha l’autista e a queste faccende ci pensa lui. Scherzi a parte, credo che da adesso in avanti si dovrà guardare all’inflazione complessiva e non più a quella tendenziale. Forse già nella riunione di settembre il comitato direttivo introdurrà qualche riferimento in tal senso.

I grafici di lungo termine mostrano una marcata correlazione storica tra andamento delle materie prime e inflazione. Perciò, diversi esperti si avventurano in previsioni fosche. Profetizzano un’ascesa eccessiva dei prezzi, guidata dalle risorse di base. È plausibile?

È una minaccia realistica, chi può negarlo? La terapia consiste nello stringere le briglie della politica monetaria ed evitare la tracimazione del fenomeno. Insomma, occorre evitare gli errori degli anni ’70.

Nello specifico?

Allora le quotazioni del greggio passarono da 3 a 30 dollari al barile. Arthur Burn, che era al timone della Federal Reserve, si mise a stampare moneta su larga scala per controbilanciare gli effetti negativi sulla congiuntura. E fu il disastro.

Cioè partì la spirale inflativa?

Esatto. E poi la recessione. Nei primi anni ’80, quando fui nominato presidente della Fed di Atlanta, gli sforzi della banca centrale si indirizzarono tutti al contenimento del carovita. Una specie di emergenza nazionale.

In poco più di un anno, il tasso d’interesse controllato dalla Fed è salito dall’1 al 3,5 per cento. Si dice tuttavia che debba salire ancora. Secondo lei, di quanti punti base?

Da qui a fine anno ci sono altre tre riunioni a Washington presiedute da Alan Greenspan. È facile ipotizzare 3 strette da 25 punti base. Quindi il saggio-base approderà al 4,25 per cento.

E per quanto riguarda il 2006?

Beh, tutto dipende dagli avvenimenti, è ovvio. Ma se la produzione si mantiene tonica, il costo del denaro dovrebbe toccare almeno il 5 per cento entro la prossima Pasqua.

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