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TASSI: SIAMO VICINI AI LIVELLI DI EQUILIBRIO

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L’andamento dei tassi di interesse di mercato sta riflettendo in gran parte il progressivo cambio di politica monetaria da parte della Fed, in un contesto in cui si percepiscono segnali di ripresa da diverse aree economiche oltre quella Usa.
In tale contesto si sono sommate le tensioni sui prezzi energetici che hanno sensibilmente aumentato il premio richiesto dagli investitori per il posizionamento sui bond.

L’interrogativo che si pone è, come sempre, relativo al livello di equilibrio dei tassi che è possibile immaginare allo stato attuale.
Innanziutto alcune considerazioni sul discorso di Greenspan. Nel suo ultimo recente discorso il capo della Fed ha dichiarato che la Fed adotta come scenario centrale quello di una politica monetaria a ritmo moderato. Al tempo stesso però, qualora vi fossero tensioni sui prezzi (in particolare quelli core) vi potrebbe essere un atteggiamento più aggressivo.

Il capo della Fed ha inoltre insistito molto sugli elementi che portano a pensare che i mercati sono ora preparati ad una nuova fase di politica monetaria, elemento quest’ultimo decisivo al fine di evitare un effetto dirompente sui tassi alla stregua ad esempio di quanto accadde nel ’94. Tra tali elementi Greenspan ha citato il posizionamento delle Gse, il processo avviato di chiusura dei c.d. carry trades ed infine il forte aumento delle posizioni nette corte da parte degli investitori non commercial sui futures sul T-note decennale.

In poche parole Greenspan è sembrato voler difendersi dalla accuse rivoltegli di una Fed in ritardo sul processo di rialzo dei tassi (in gergo behind the curve) . Il capo della Fed risponde a tali accuse addebitando il “ritardo” nel rialzo dei tassi alla necessità di preparare i mercati adeguatamente all’inversione di politica monetaria. Inoltre l’intenzione base è quella di procedere in modo moderato salvo sorprese dal lato dei prezzi. Sotto quest’ultimo atteggiamento potrebbe celarsi la necessità di assicurarsi che l’economia consolidi la ripresa anche in assenza dello stimolo fiscale.
Cosa comporta tali dichiarazioni? La Fed alzerà verosimilmente i tassi il prossimo 30 giugno e poi avrà tutto il tempo per verificare l’andamento del petrolio e soprattutto dell’economia per prendere la successiva decisione nel Fomc del 10 agosto.

Chiarito lo scenario di riferimento della Fed (almeno quello che a nostro avviso può essere assunto come tale), rimane da chiarire se i tassi hanno o meno incorporato le aspettative di andamento non favorevole dei prezzi. In tal caso il dubbio principale si riferisce alll’interpretazione da attribuire al recente storno del greggio: calo strutturale o temporaneo? Il report di oggi dell’agenzia internazionale sull’energia non lascia immaginare la possibilità di cali molto accentuati, prospettando una domanda di petrolio nel 2004 ai livelli record dal 1980. Insomma, alle tensioni geopolitiche si sommano quelle legate alla domanda che non dovrebbe accennare a calare malgrado il possibile rallentamento dell’economia cinese.

Per quanto concerne le tensioni geopolitiche, come provare ad estrapolarle dai prezzi assoluti del greggio? Abbiamo provato ad effettuare un semplice esercizio in tal senso considerando la sovraperformance percentuale dell’indice sulle commodity di Goldamn Sachs (in cui la componente energetica pesa per oltre il 60%) rispetto all’indice sulle commodity Crb (indice calcolato come media geometrica di 17 materie prime). Una sensibile sovraperformance del primo indice rispetto al secondo potrebbe essere indicativa di forti tensioni geopolitiche incorporate nei prezzi. Pertanto i prezzi attuali incorporano un livello elevato di tensioni.

I tassi d’interesse nel frattempo hanno continuato il trend al rialzo, per tenere conto anche di tale percezione che è stata incorporata nei prezzi attraverso un maggior premio al rischio richiesto dagli investitori.
Un ulteriore rialzo dei tassi di mercato potrebbe esservi da qui alla prossima pubblicazione degli importanti dati Usa sul Ppi e Cpi Usa della prossima settimana, ma in forma contenuta rispetto ai livelli attuali. L’impressione è che siamo molto vicini ai massimi di periodo in termini di tassi di interesse, che possono essere individuati in prossimità del 5% del T-note decennale Usa (ora al 4,83%) e del 4,5% (ora 4,40%) in termini di bund (111,30 in termini di bund future).

Tale percezione sembra essere prevalente anche tra gli operatori, visti i rapporti di copertura record con cui ad esempio è stata accolta l’ultima asta Usa sul 5 anni (bid to cover pari a circa il 3%). Inoltre, come ha ricordato lo stesso Greenspan, gli operatori più speculativi (i c.d. commercial ) presentano posizioni nette corte record (si veda il grafico allegato) sui futures sul T-note decennale, il che potrebbe comportare veloci e corpose ricoperture.

In sintesi, a meno di dati sul Ppi e soprattutto sul Cpi particolarmente al di sopra delle attese, sul mercato dei bond potremmo essere vicini ad una fase di arresto del rialzo dei tassi di mercato. La continuazione del trend al rialzo nel corso del secondo semestre dipenderà molto dall’andamento dell’economia Usa in assenza di stimoli fiscali. Su tale tematica abbiamo già espresso qualche perplessità in occasione del commento di alcuni importanti dati macro, tra cui l’andamento delle scorte industriali.

* Antonio Cesarano e’ il Responsabile Desk Market Research di MPS Finance.